Certamente il freddo numero delle assunzioni a tempo indeterminato non può che colpire positivamente, ma sarebbe serio e saggio, al di là della facile propaganda, riflettere su un dato: sono circa 890.000 i contratti a tempo indeterminato che nel 2015, al contrario del 2014, sono stati incentivati non dal Jobs act ma dalla legge di stabilità 2015, con un costo di circa 1,8 miliardi per i contribuenti nell’anno trascorso (e oltre 3,7 mld nel 2016, 3,9 mld nel 2017, 2,1 mld nel 2018 e 0,130 mld nel 2019). Se ne deduce che la politica e il Governo dovrebbero riflettere con attenzione su cosa succederà quando il potente metadone della decontribuzione calerà fino a scomparire.
Così come è da sottolineare che il dato delle trasformazioni da contratti precari in stabili è in linea con gli anni pre Jobs act: nel 2013 sono stati 390.000 e nel 2015 388.000, con il persistente calo degli apprendisti.
La UIL è fortemente preoccupata che le sorti della crescita quantitativa e qualitativa del lavoro si affidino esclusivamente ai pur necessari incentivi, soprattutto nel sud, e non a politiche che promuovano la crescita ad oggi fragile, debole e a tempo determinato.
Roma, 19 gennaio 2016