La sicurezza soggettiva e la prevenzione
La nuova concezione della tutela
Il Decreto Legislativo n. 626 del 19 settembre 1994, passando da un’impostazione tecnologica di prevenzione passiva ad un sistema di sicurezza globale, coinvolgendo in modo attivo tutte le parti interessate, integra la prevenzione tecnica con i nuovi aspetti della prevenzione soggettiva, affermando il principio dell’autotutela in cui “ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza …” (art. 5, comma 1).
Naturalmente essere coinvolti in modo attivo, essere partecipi della “propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro”, comporta una responsabilità individuale del lavoratore che prima, con il sistema della tutela “oggettiva” data dalle norme e regolamenti di natura prescrittiva, era prevalentemente a carico del datore di lavoro e del preposto.
Per quanto attiene ai limiti soggettivi della responsabilità, vale la pena di ricordare un’interessante sentenza di Cassazione, sezione IV penale n° 6187 del 18/5/99, che recita: “La maggiore responsabilizzazione del lavoratore rispetto alla sicurezza del lavoro, configurata dal D.Lgs. 626/1994, postula la messa in opera di una diversa organizzazione del lavoro, prevista dalla medesima legge, attraverso, da un lato, la programmazione e la procedimentalizzazione dell’obbligo di sicurezza e, dall’altro, la formazione ed informazione, nelle forme previste, dei lavoratori …”.
Dalla magistratura, le procedure e programmi organizzativi sono visti generalmente come un’articolazione, per fasi successive, d’obiettivi programmatici che vanno basati sul coinvolgimento di tutti i soggetti operanti in ambito aziendale, compresi i lavoratori.
La sentenza di Cassazione 17/2/98 n. 1687 ha stabilito che “le norme in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo da eventi causati dalla sua disattenzione, ma anche da quelli imputabili a incuria, negligenza e imprudenza dello stesso”.
Sentenza di Cassazione 16 luglio 1998, n. 6993. “Qualora il datore di lavoro violi le norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore è interamente responsabile dell’infortunio che sia conseguito a tale violazione. Non vale, infatti, ad attenuare la sua responsabilità il concorso di colpa del lavoratore ... È, infatti, dovere del datore di lavoro proteggere l’incolumità del lavoratore anche al di là della sua imprudenza o negligenza.”
L’impossibilità di fare carico totalmente al lavoratore della propria sicurezza costituisce un’affermazione costante della giurisprudenza con riferimento, soprattutto, all’individuazione delle responsabilità per l’infortunio, a meno che non si prefiguri la volontarietà del lavoratore, per colpa o dolo, nell’essere fonte del danno causato o ricevuto (si vedano anche Cass. 20/4/89, Perasi e Cass. 4/4/90, Caterini).
Quindi, il Datore di lavoro risulta sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore sia quando accetta d’adottare idonee misure di prevenzione, sia quando non controlla che queste misure vengano effettivamente usate dal dipendente.
Per contro, la sentenza di Cassazione penale, sez. IV, 3 novembre 1998 n. 11481, Scorzelli, recita: “… debba individuarsi l’inesigibilità … del controllo continuativo su ogni singolo operaio da parte di un direttore generale responsabile della sicurezza, perché ciascun operaio rispettasse le norme di sicurezza e usasse i mezzi di protezione a disposizione, in ambito di compiti e responsabilità complessi … in un contesto di sussistenza di tutte le misure di sicurezza previste, di compiuta informazione ai dipendenti dei rischi legati all’uso delle macchine e della utilizzazione di dispositivi di sicurezza, di attività di lavoro eseguita da dipendente esperto e competente … Chi è responsabile della organizzazione e della sicurezza del lavoro, qualora assicuri complete misure di sicurezza, informazione compiuta ai dipendenti, predisposizione adeguata del sistema di lavoro, deve poter contare sull’esatto adempimento delle regole di lavoro da parte dei lavoratori (comprensive delle esistenti e comunicate misure di prevenzione infortuni) con uso di normale diligenza da parte degli stessi lavoratori”. La sentenza, segnalata da Guariniello in I&SL 1998, n° 12-647, (che sul tema richiama anche Cass. 18 novembre 1997, Crema) sottolinea la nuova posizione di responsabilità assunta dal lavoratore nel nuovo quadro normativo delineatosi dopo il D.Lgs. 626/1994.
In definitiva, al Datore di lavoro è imposta l’adozione di programmi e procedure organizzative, la definizione d’incarichi e responsabilità ed un percorso d’autocontrollo aziendale fondato sulla prevenzione ed una costante evoluzione del sistema indirizzato al miglioramento continuo.
Per prevenire, bisogna agire prima che il danno si manifesti, quindi le attività aziendali di prevenzione devono essere organizzate partendo da un ruolo partecipativo e collaborativo dei lavoratori e non più imposte gerarchicamente o dalle norme.
La collaborazione, per essere efficace, deve poggiare sulla professionalizzazione e responsabilizzazione del singolo al fine di realizzare i risultati richiesti, individuati dal sistema prevenzionistico aziendale, a sua volta impostato dal datore di lavoro in collaborazione con il RLS e le altre figure definite per la prima volta dal decreto 626, nel campo della sicurezza e nel rispetto delle prescrizioni date dalle norme.