Ivana VERONESE: comunicato Stampa del 28/04/2020
650 mila invisibili. Chi sono e come vivono i migranti irregolari in Italia
650 mila invisibili. Chi sono e come vivono i migranti irregolari in Italia
28/04/2020  | Immigrazione.  

 

(https://www.huffingtonpost.it/ 28 aprile 2010) Lavorano soprattutto nei campi e nelle nostre case, senza alcuna protezione sanitaria. Sono almeno 200mila tra colf e badanti, in agricoltura sono le prede più facili per il caporalato.

 

Per il Sistema sanitario nazionale, sono “invisibili”, nel senso che non hanno un medico di base, né accesso ad alcun presidio sanitario. Se stanno malissimo, l’unica via è anche la più pericolosa: il Pronto Soccorso, proprio ciò che in tempi di pandemia andrebbe evitato. Sono gli oltre 600 mila immigrati irregolari che vivono nel nostro Paese, secondo le stime più recenti dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi, 2020). Sono le centinaia di migliaia di persone che – al nero e fuori da qualsiasi regola - raccolgono i nostri ortaggi, puliscono le nostre case, si prendono cura degli anziani e dei più fragili, sopravvivono grazie al piccolo commercio nelle grandi città. In una parola, si arrangiano come e dove possono, condividendo spazi vitali anche molto piccoli con persone di cui sanno poco o nulla. Sono “i nuovi schiavi” di cui oggi - su HuffPost - Emma Bonino chiede la “liberazione”.

 

Quanti sono gli stranieri irregolari in Italia

 

Secondo l’Ispi, il numero degli stranieri irregolari presenti in Italia è continuato a crescere stabilmente negli ultimi anni. Scriveva Matteo Villa sul sito dell’Istituto nel gennaio di quest’anno: “Dopo aver toccato un minimo inferiore alle 300.000 unità nel 2013, a gennaio 2020 si stima che le presenze irregolari siano più che doppie, superiori alle 600.000. Per dare un’idea delle dimensioni del problema, ai ritmi attuali (7.000 rimpatri l’anno) per rimpatriare tutti i 610.000 irregolari presenti nel Paese occorrerebbero 87 anni”.

 

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ISPI Irregolari Ispi

 

Come vivono

 

Archiviata dunque l’ipotesi fantascientifica di rimpatriarli tutti, nelle ultime settimane in molti si sono mobilitati per chiederne la regolarizzazione, sottolineandone i vantaggi non solo sul piano sanitario, ma anche economico. Tra questi l’economista Tito Boeri, ex presidente dell’Inps, che su Repubblica ha condiviso qualche numero:

 

“Gli immigrati irregolari sono ormai più di 650 mila […]. Vivono molto di più in promiscuità degli altri immigrati perché hanno minori fonti di reddito e non possono firmare un contratto d’affitto. Se solo un italiano su cento convive con persone diverse dai suoi famigliari, un immigrato irregolare su tre convive con persone con cui non ha alcun legame di parentela. Dichiarano, se intervistati, che non andranno mai da un medico di base, perché hanno paura di essere espulsi. Semmai, se proprio costretti, vanno al Pronto Soccorso, dopo aver contagiato chissà quante persone”.

 

Cosa fanno:

 

Più sommerso del sommerso, il lavoro nero dei migranti irregolari è un fenomeno difficile da fotografare con i numeri. Un’indagine ISFOL (2014) sottolinea come gran parte di essi lavora fuori dal settore agricolo (13.6% sono artigiani, operai specializzati o agricoltori e 72,6% svolgono professioni non qualificate che includono badanti, colf e piccolo commercio in grandi centri urbani). Non si hanno stime della loro distribuzione regionale ma è del tutto presumibile che siano concentrati in misura maggiore nelle regioni a maggiore attività economica del Paese, che sono anche le più colpite dal coronavirus (in Lombardia, applicando le percentuali di migranti regolari, gli irregolari sarebbero almeno 100mila).

 

Il settore agricolo:

 

Come molti altri settori, l’agricoltura rischia di pagare un prezzo altissimo a causa della pandemia: si stima che al settore manchino 250 mila lavoratori, dato che gli stagionali stranieri sono bloccati nei Paesi d’origine. Motivo per cui la regolarizzazione degli immigrati irregolari impegnati nei campi sta raccogliendo maggiori adesioni dalla politica.

 

Secondo la Uil, il “lavoro nero” fra servizi e agricoltura coinvolge un esercito di “invisibili”: ben 345.000. Tra questi una buona parte è rappresentata dagli immigrati irregolari, in maggioranza provenienti dal continente africano. Sono loro i più esposti allo sfruttamento e al caporalato, piaga che indistintamente affligge le campagne italiane da Nord a Sud, malgrado i tentativi ricorrenti di normare il settore.

 

A preoccupare sono soprattutto le condizioni igieniche e sociali nei ghetti in cui tipicamente vivono i braccianti irregolari, alcuni di questi tristemente noti (da San Ferdinando in Calabria alla Capitanata foggiana). L’allarme è stato lanciato in una lettera-appello da Terra! e Flai Cigl:

 

“C’è il rischio che il Covid-19 arrivi in quegli insediamenti, tramutandoli in focolai della pandemia. Ma le soluzioni ci sono: i Prefetti – destinatari di nuovi poteri a seguito del DCPM del 09 marzo – possono adottare disposizioni volte alla messa in sicurezza dei migranti e richiedenti asilo presenti sul territorio, mediante l’allestimento o la requisizione di immobili a fini di sistemazione alloggiativa. Le risorse necessarie per gli eventuali interventi di rifacimento e adeguamento degli immobili requisiti potrebbero essere attinte dalla dotazione del Piano Triennale contro lo sfruttamento e il caporalato”.

 

Il settore domestico:

 

Collaboratrici domestiche e badanti compongono un’altra grande parte di questo esercito di invisibili. Secondo Andrea Zini, vice presidente Assindatcolf, Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico, “ancora prima che la diffusione del coronavirus sconvolgesse il nostro Paese avevamo stimato che in Italia lavorassero in nero circa 200 mila domestici senza regolare permesso di soggiorno. Una piaga sociale ed economica che oggi rischia di diventare vera e propria emergenza se il Governo non metterà mano alla questione. Ecco perché scegliere di non regolarizzare anche colf, badanti e baby sitter insieme ai lavoratori dell’agricoltura sarebbe un errore gravissimo”.

 

“Al Ministro Lamorgese – prosegue – chiediamo di includere nel provvedimento che è allo studio del Governo anche i lavoratori domestici irregolari che scontano anni di politiche restrittive che, di fatto, hanno impedito ai cittadini non comunitari di entrare nel nostro Paese per motivi di lavoro non stagionale. Questa – conclude – potrebbe essere l’occasione per trasformare una falla del sistema in una grande opportunità per tutti, anche economica. Come si evince da uno studio Censis/Assindatcolf, il comparto domestico è, infatti, in grado di generare un volume economico pari a circa 19 miliardi di euro l’anno. Mentre, stimiamo che il mancato gettito Inps e Irpef derivante dal lavoro dei 200 mila domestici con i documenti non in regola ammonti a circa 400 milioni di euro l’anno”.

 

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ASSINDATCOLF Settore Domestico