Ivana VERONESE: comunicato Stampa del 25/06/2020
Lavoratori immigrati: una vera riforma dopo la sanatoria
Lavoratori immigrati: una vera riforma dopo la sanatoria
25/06/2020  | Sindacato.  

 

Enrico Di Pasquale  e Chiara Tronchin, www.lavoce.info

 

La regolarizzazione di colf e lavoratori dell’agricoltura nella fase di emergenza sanitaria è stata una necessità. Ma bisogna tornare a discutere di una riforma strutturale dell’immigrazione, che privilegi ingressi legali e percorsi di inclusione.

 

Perché la sanatoria 2020

 

L’emergenza Covid-19 ha coinvolto anche il mercato del lavoro degli stranieri, riportando di attualità il tema della regolarizzazione degli immigrati irregolari, seppure limitata al settore primario e a quello domestico. La chiusura delle frontiere dovuta all’emergenza sanitaria, infatti, ha impedito l’ingresso in Italia ai lavoratori stagionali necessari per il settore agricolo, mettendo a rischio intere produzioni. Mentre, a causa del lockdown, i lavoratori domestici senza contratto (quasi il 60 per cento del totale) non potevano proseguire la propria attività. La situazione più delicata riguardava gli stranieri senza permesso di soggiorno, senza lavoro e senza la possibilità di rientrare in patria.

 

Per questi motivi si è avviato un dibattito che ha portato all’inserimento nel decreto Rilancio (decreto-legge 19.5.2020 n. 34) dell’articolo 103, che riguarda proprio l’“emersione di rapporti di lavoro”.

 

La norma prevede due procedimenti distinti:

 

– istanza di un datore di lavoro che dichiara di voler assumere un cittadino straniero presente sul territorio nazionale alla data dell’8 marzo o che dichiara la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, in corso di svolgimento, con cittadini italiani o stranieri (comma 1);

 

– domanda avanzata dal cittadino straniero con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, che abbia lavorato nei settori presi in considerazione dalla norma e che sia disoccupato (comma 2).

 

I settori coinvolti sono quello primario (agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse) e quello del lavoro domestico (assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza e lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare).

 

Le entrate per lo stato

 

Secondo le stime riportate nella relazione tecnica allegata al decreto, la platea di beneficiari potrebbe arrivare a circa 220 mila persone, anche se la stessa relazione precisa che si tratta di una stima “assolutamente presuntiva”, basata sulla media delle domande pervenute nelle regolarizzazioni del 2009 e del 2012.

 

Il governo stima pertanto che le entrate riconducibili alla regolarizzazione possano arrivare a 93,7 milioni di euro, con 75,2 milioni di euro di costi di gestione.

 

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Oltre ai costi per la gestione delle pratiche di emersione, andrebbe però calcolato il gettito fiscale e contributivo dato dalla presenza di nuovi lavoratori regolari, partendo dalla banale considerazione che questi, a differenza degli irregolari, versano allo stato i contributi assistenziali e previdenziali, l’Irpef e le addizionali locali.

 

Considerando che i lavoratori stranieri si collocano prevalentemente in fasce di reddito medio-basse (molti al di sotto della soglia di 8 mila euro della “no tax area”), si può stimare che il “valore pro capite” per le casse dello stato per ogni straniero regolarizzato vari da 2.800 a 5.250 euro, a seconda del settore. Ipotizzando quindi una platea di beneficiari della regolarizzazione pari a 220 mila persone, il gettito complessivo potrebbe variare tra 0,6 e 1,2 miliardi di euro annui.

 

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In definitiva, oltre alle entrate dovute alle pratiche amministrative, la regolarizzazione porterà con sé un beneficio economico per le casse dello stato, destinato a perdurare per tutti gli anni di lavoro in Italia.

 

Inoltre, non va dimenticato il beneficio di carattere sociale dato da una minore esposizione a marginalizzazione e sfruttamento e, di conseguenza, da una maggiore opportunità di integrazione.

 

Pensiamo al futuro

 

In una valutazione complessiva va però ricordato che la regolarizzazione dovuta all’emergenza non modifica la normativa vigente in materia di ingressi legali e di inclusione lavorativa. I limiti normativi che hanno portato alla situazione pre-Covid (600 mila irregolari secondo le stime Ismu) non vengono superati: il rischio è quello di dover ricorrere tra pochi anni a una nuova regolarizzazione generalizzata. In un precedente articolo abbiamo ripercorso la storia delle “sanatorie” in Italia, divenute negli ultimi 30 anni il principale strumento di politica migratoria, assieme al “decreto flussi”, che peraltro negli ultimi anni è stato ridotto ai minimi termini, dedicato essenzialmente ai lavoratori stagionali.

 

Prima dell’emergenza sanitaria erano allo studio del Parlamento alcune proposte di riforma strutturale, in particolare quelle legate alla campagna “Ero straniero”. Miravano a “superare l’attuale modello di gestione dell’immigrazione in Italia”, eliminando la pratica del “decreto flussi” e introducendo due nuovi meccanismi d’ingresso: il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, che consentirebbe ai cittadini stranieri di entrare in Italia in modo regolare, anche senza essere già in possesso di un contratto di lavoro; e lo “sponsor”, un ente pubblico o privato del territorio (associazione, sindacato, ente locale) che faccia da garante per il cittadino straniero, ad esempio, attraverso alloggio e sostentamento (una misura già in vigore in Italia tra il 1998 e il 2002).

 

Se la regolarizzazione è stata un provvedimento necessario nella fase di emergenza, passata la bufera sarà importante ricominciare a discutere di una riforma strutturale dell’immigrazione, privilegiando gli ingressi legali e i percorsi di inclusione lavorativa, proprio per evitare di dover tornare ciclicamente alla “sanatoria”.