Ivana VERONESE: comunicato Stampa del 08/07/2020
Straniere e senza diritti, ecco le donne che raccolgono le nostre fragole
Straniere e senza diritti, ecco le donne che raccolgono le nostre fragole
08/07/2020  | Sindacato.  

 

Sono lavoratrici dalle vite spezzate e logorate, stagionali che cercano di migliorare la propria situazione lasciando la miseria e trovandone altrettanta. Le racconta Chadia Arab, nel suo “Fragole” (Luiss). E risponde anche a qualche domanda

 

Aboubakar Soumahoro, linkiesta.it

 

“Fragole” racconta le storie di donne rese invisibili e dimenticate analizzata e decifrata dall’occhio attento e partecipato di Chadia Arab, un’osservatrice privilegiata grazie alla sua indagine sul campo.

 

È il racconto delle condizioni di vita di donne, originarie del Marocco, protagoniste di un processo migratorio stagionale nella filiera delle fragole a Huelva, nel sud della Spagna.

 

In quest’opera, la ricerca è messa generosamente al servizio della collettività e della politica al fine di supportare quest’ultima nell’esercizio di autovalutazione delle proprie scelte che incidono sempre sulla vita dei membri della collettività.

 

“Fragole” mira, come afferma l’autrice, a «dare visibilità alle donne che si spostano in quanto lavoratrici e migranti, e agli studi a loro dedicati e ancora poco conosciuti. Questo libro intende rendere visibile un’immagine delle donne migranti diversa da quella delle accompagnatrici passive, assenti, casalinghe e analfabete; intende decostruire queste rappresentazioni sociali ancora largamente dominanti, in particolar modo quando si tratta di donne dell’Africa del Nord».

 

Questo processo migratorio a carattere “circolare” mette in evidenza il tema di genere, ovvero l’essere una lavoratrice donna nei processi migratori.

 

La storia del percorso di Saïda, una delle protagoniste, «riassume le storie di queste vite, a volte spezzate, logorate, maltrattate, rovinate dal tempo e dalle difficoltà tipiche di quando si è una donna sola, povera e con dei figli in Marocco. Percorsi ricchi di rotture, mobilità, fratture; di voglia di farcela, di migliorare la propria condizione attraverso il lavoro e la migrazione; e di capacità di rinnovarsi e rendersi mobili. Perché tutte queste storie individuali hanno due punti in comune, due condizioni di partenza sine qua non che sono al centro della politica migratoria marocchina e spagnola: sono storie che appartengono a donne e a mamme».

 

Il legittimo sogno di costruire per sé e per la propria famiglia un presente e un futuro migliore è sempre alla base della decisione di migrare. Questo processo, con connotazione di genere, non è mai equiparabile al privilegio di un mero viaggio.

 

Questa decisione non scelta, mai assunta passivamente, va analizzata in una prospettiva olistica dei processi migratori con al centro l’approccio di genere.

 

Le donne protagoniste di questo processo migratorio circolare e stagionale, tra il Marocco e la Spagna, hanno in comune il desiderio di emanciparsi dalla miseria endogena-esogena, e di soddisfare i bisogni vitali dei propri figli e delle proprie famiglie.

 

A questo riguardo, Saïda sostiene che «a pensarci, ci siamo battute per andare a lavorare nella miseria. È la miseria stessa che ci fa partire». Il bisogno di riscattarsi socialmente, per il tramite del lavoro salariato nella filiera “dell’oro rosso” di Huelva, si scontra con un’altra forma di miseria espressa nella vulnerabilità socio-lavorativa ed esistenziale, dovuta anche alle difficoltà di ottenere un permesso di soggiorno.

 

Nella prospettiva teorica della “doppia assenza” di Abdelmalek Sayad, Chadia Arab decifra queste storie, che ogni anno interessano migliaia di donne coraggiose provenienti dal Marocco, al di fuori della logica del vittimismo, in maniera lucida e «il più possibile dinamica, senza rottura tra il luogo di arrivo e quelli di partenza».

 

La selezione e il reclutamento delle lavoratrici stagionali, con scelta basata sul genere, nascono da un programma tra il Marocco e la Spagna fondato su un «triplice obiettivo: una necessità economica della Spagna, un controllo dei flussi migratori dell’Unione europea e lo sviluppo dei paesi di origine da parte delle donne al loro rientro in Marocco. […] Il progetto dei contratti in origine si iscrive nel quadro del programma AENEAS, lanciato nel 2004 e finanziato dall’Unione europea con l’obiettivo di contrastare l’immigrazione clandestina e migliorare la gestione dei flussi migratori. È nel quadro di questo programma che si iscrive la convenzione tra il comune di Cartaya e l’ANAPEC, la cui realizzazione beneficia di un budget di 1,5 milioni di euro. Il “Programma di gestione etica dell’immigrazione stagionale” è sostenuto dal ministero del Lavoro in Marocco e dal comune di Cartaya in Spagna. Quest’ultimo, in partenariato con l’ANAPEC, deve fornire gli spazi, gli strumenti e i sistemi di gestione etica della manodopera agricola».

 

Le condizioni nel mercato del lavoro di queste donne braccianti – che da circa un decennio, insieme alle donne dell’Europa dell’Est (Romania, Bulgaria), hanno sostituito gli spagnoli e i portoghesi nella filiera delle fragole – richiamano le “cinque P” di Maurizio Ambrosini riferite ai lavori dei migranti, ovvero: pesanti, pericolosi, precari, poco pagati e penalizzati dal punto di vista sociale.

 

Questa forza lavoro «docile e temporanea», assunta attraverso il progetto dei «contratti in origine», ha lo scopo di mettere in pratica «un sistema di gestione integrale dell’immigrazione stagionale di lavoratori marocchini verso un insieme di municipalità agricole spagnole che richiedono ogni anno grandi quantitativi di manodopera straniera per le colture della fragola e degli agrumi. Gli obiettivi sono: sviluppare l’immigrazione legale per gli impieghi temporanei tra le due regioni coinvolte, includere in un sistema globale di gestione tutte le tappe della relazione tra datore di lavoro e lavoratore, istituire nuovi servizi per i lavoratori, prevenire le pratiche illegali che favoriscono i flussi di clandestini e garantire il rientro dei lavoratori dopo la stagione».

 

I contratti in origine sono strumenti operativi che rientrano nell’ambito delle attività del programma dell’AENEAS, detto di cooperazione internazionale, instituito dal Regolamento (CE) n. 491/2004 del Parlamento e del Consiglio europeo del 10 marzo 2004, con una dotazione finanziaria di 250 milioni di euro per il periodo 2004-2007.

 

Lo stesso Programma AENEAS, con il Regolamento (CE) n. 1905/2006 del Parlamento e del Consiglio europeo, è stato rifinanziato con una dotazione complessiva di circa 380 milioni di euro (esclusi i costi amministrativi) per il periodo 2007-2013.

 

A questo riguardo, viene spontaneo porsi alcune domande. La prima è: chi guadagna da questa convenzione finanziata dall’Unione europea?

 

Una traccia di risposta è racchiusa nel racconto e nell’analisi di Chadia Arab delle testimonianze di donne braccianti stagionali i cui datori si preoccupano del loro «rendimento lavorativo, senza preoccuparsi del loro benessere e della loro integrazione».

 

Questo libro – che narra anche la storia di sfruttamento socio-lavorativo di braccianti, in quanto donne e donne migranti, prive di tutele rispetto ai propri diritti – mette in evidenza, facendo uscire dall’invisibilità, la condizione di vulnerabilità lavorativa ed esistenziale di queste donne schiacciate nella filiera delle fragole, alla ricerca di una forma di riscatto ed emancipazione.

 

Dal racconto di Arab si evince che non sono certo queste lavoratrici ad aver tratto vantaggio dalla convenzione.

 

Seconda domanda: quale azione sindacale andrebbe messa a disposizione delle lavoratrici nella prospettiva di garantire a tutte loro uguale lavoro per uguale salario?

 

Le testimonianze raccolte da Chadia Arab parlano di lavoratrici bisognose di maggiori diritti e rappresentanza sindacale dal punto di vista salariale, abitativo, previdenziale, di sicurezza sul lavoro e di trasporto. Il mondo di queste donne “dimenticate e invisibili” porta con sé altre variabili.

 

In primo luogo, il mancato rispetto da parte dei datori di lavoro dei diritti sindacali. Il tema della sindacalizzazione di queste lavoratrici è una delle sfide, oltre alla digitalizzazione e alla crisi climatica, che deve tornare centrale nella prospettiva di una loro ricomposizione in un mondo del lavoro in costante cambiamento.

 

Al riguardo, verrebbe da ricordare le parole di Giuseppe Di Vittorio, uno dei padri del sindacalismo italiano e internazionale, quando si domandava: «È giusto che mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? È giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie, delle loro creature? È giusto questo? Di questo dobbiamo parlare, perché questo è il compito del sindacato».

 

In secondo luogo, le responsabilità della Grande distribuzione organizzata che spesso rende vulnerabili i braccianti.

 

In terzo luogo, la politica migratoria dell’Unione europea e della Spagna, che in questo progetto rende vulnerali le lavoratrici perché tende a consegnare il loro destino sociale e professionale in mano ai datori di lavoro.

 

Questa situazione diventa drammatica quando la vulnerabilità lavorativa si intreccia con quella sociale (prodotta dall’impossibilità di avere un permesso di soggiorno), come testimoniano le parole di un’altra bracciante stagionale che afferma: «Ho subito il disprezzo, le umiliazioni, le ingiustizie, i salari bassi e lo sfruttamento da parte degli spagnoli e di alcuni marocchini a conoscenza della mia situazione di bisogno».

 

E infine, le responsabilità delle autorità del Marocco che avrebbero dovuto fare pressioni sulla Spagna affinché «trattasse meglio le donne. È comprensibile che non possano farlo sul posto, ma potrebbero fare pressioni. Non sono mai venuti. Le donne, per esempio, non possono avere la disoccupazione perché non hanno il permesso di soggiorno in Spagna. Chi sono le perdenti in questa storia? Le donne…».

 

La ricerca di Chadia Arab ci ricorda che le scelte politiche dovrebbero tutelare la dignità delle persone e garantire la felicità, in una prospettiva collettiva, propria di tutti gli esseri umani, soprattutto quando si tratta del lavoro.