Ivana VERONESE: comunicato Stampa del 29/07/2020
Su demografia, scuola e salute l’effetto Covid-19 durerà a lungo
Su demografia, scuola e salute l’effetto Covid-19 durerà a lungo
29/07/2020  | Immigrazione.  

 

La crisi che stiamo attraversando ha implicazioni difficilmente superabili anche una volta migliorata la congiuntura

 

Di Giorgio Bellettini e Andrea Goldstein, https://www.ilsole24ore.com/

 

Moltissimo è stato scritto, anche sulle colonne di questo giornale, sui devastanti effetti macroeconomici per l’Italia dell’epidemia globale da Coronavirus. Limitandoci ad alcuni indicatori, che sia la produzione industriale, le presenze turistiche o le vendite di beni durevoli, il crollo tra marzo e maggio è stato senza precedenti. A pochi giorni ormai dalla pubblicazione delle prime stime dell’Istat, è facile (e drammatico) anticipare che lo stesso sia accaduto con il Pil nel secondo trimestre del 2020. Per quanto riguarda le finanze pubbliche, le previsioni sono unanimi – soprattutto nel segnalare come il debito pubblico si attesterà intorno al 160% del Pil, un livello raggiunto solo in un’altra occasione dallo Stato italiano, a seguito della Prima guerra mondiale.

 

Benché eccezionali da un punto di vista quantitativo, tali dinamiche tendono a caratterizzare il quadro macroeconomico ogniqualvolta un Paese è colpito da uno shock globale; basti ricordare la Grande recessione a seguito della crisi finanziaria del 2008-09.

 

La crisi che stiamo attraversando, tuttavia, ha anche implicazioni di natura microeconomica e finanche mesoeconomica, difficilmente superabili anche una volta che sia migliorata la congiuntura e che, in misura perfino maggiore di quelle macro, rischiano di pesare sulle prospettive di crescita a lungo termine. Nel libro che abbiamo curato, frutto del generoso impegno di 36 colleghi di varie provenienze, si analizzano, tra gli altri, tre aspetti spesso trascurati della crisi del Covid-19: le conseguenze sulle dinamiche demografiche, l’apprendimento scolastico e la salute mentale.

 

Il bilancio demografico nazionale 2019, pubblicato pochi giorni fa dall’Istat, ha certificato il nuovo record negativo di nascite dall’Unità: appena 420.170 nuovi nati, in ulteriore calo del 4,5% rispetto al 2018. Non è difficile prevedere che il clima di incertezza e le difficoltà economiche peseranno sia sulla scelta di avere figli per le coppie già esistenti, sia sulle possibilità per i più giovani di raggiungere l’indipendenza economica necessaria a formare una nuova unione. Del resto, nel 1986 la nube di Chernobyl, un episodio di durata molto più breve e dalle conseguenze economiche marginali, aveva provocato un calo significativo sulle nascite nove mesi più tardi. Roberto Impicciatore calcola che nel 2020 il calo delle nascite potrebbe andare dal 2% al 10%; nello scenario più negativo si scenderebbe dunque al di sotto della simbolica soglia delle 400mila nascite che l’Istat, prima dello scoppio della pandemia, aveva previsto solamente nel 2032. L’Italia è seconda solo al Giappone in termini di percentuale di popolazione sopra gli 80 anni: non possiamo non preoccuparci delle implicazioni, ad esempio, sulla sostenibilità del nostro sistema di welfare e sulle prospettive del mercato del lavoro.

 

Oltretutto, la crisi ha effetti anche sull’immigrazione. Le restrizioni alla mobilità hanno già provocato una forte carenza di manodopera in settori nei quali i migranti rappresentano quote sostanziali e crescenti di occupazione: si pensi ad esempio all’agricoltura (18%) o all’approvvigionamento energetico e ai trasporti (10%). È prematuro prevedere come la pandemia influenzerà le tendenze di medio-lungo periodo dei flussi migratori a livello globale: non si può tuttavia escludere che gli effetti negativi sugli ingressi in Italia si protraggano per diversi anni, come accaduto durante la Grande recessione, appena una decina d’anni fa.

 

Nel caso dell’istruzione, per parlare con cognizione di causa di date di apertura delle scuole, oppure di appalti per la fornitura di banchi e altri materiali, dobbiamo innanzitutto interrogarci circa la perdita di apprendimento per gli studenti di tutti i gradi, ma particolarmente per la scuola primaria e secondaria, dovuta alle 14 settimane di interruzione delle lezioni in presenza. Pur con tutte le difficoltà dell’esercizio, la stima di Andrea Gavosto e Barbara Romano è devastante: la perdita in termini di apprendimento si aggirerebbe intorno a 7 punti nelle prove Pisa, dove già l’Italia non brilla, e a 178 miliardi di euro su 40 anni, ovvero quasi il 10% del Pil annuo, come minori remunerazioni alla luce di un capitale umano inferiore. Se consideriamo poi che l’istruzione nei primi anni di vita produce effetti persistenti sulla salute, sul reddito e sulle capacità cognitive, ne emerge un quadro davvero preoccupante.

 

Un terzo elemento è quello delle conseguenze del lockdown sulla salute mentale. Come riportato da Davide Dragone, studi relativi ai focolai epidemici di Sars, Ebola, e della pandemia influenzale H1N1 del 2010, hanno mostrato l’insorgenza di effetti psicologici negativi simili ai sintomi da stress post-traumatico (quali depressione, stress, ansia, irritabilità, rabbia e insonnia) nella popolazione soggetta a quarantena, o comunque isolata per evitare il contagio. A questi vanno aggiunti gravi effetti di lungo termine: da uno studio condotto su dipendenti ospedalieri esposti a un focolaio di Sars a Pechino emerge una correlazione significativa tra la quarantena e il futuro abuso e dipendenza da alcol.

 

In molti atenei italiani si inizia a constatare un aumento degli stati di ansia e disagio emotivo tra gli studenti: un’eventuale seconda ondata del virus e la riproposizione di misure restrittive aggraverebbe inevitabilmente queste patologie. Col rischio concreto di rinforzare un’altra prevedibile conseguenza della Recessione da Covid-19, ossia l’aumento dei tassi di abbandono universitario.

 

Sarebbe un gravissimo errore sottovalutare fenomeni di così grande rilevanza per il futuro del Paese, che incidono soprattutto sui più giovani che sono sempre di meno e sulle generazioni future che per definizione non possono ancora votare. Temi come la demografia e l’istruzione sono a basso “dividendo politico” e rischiano di essere relegati ai margini del dibattito sulle misure di politica economica da intraprendere per ripartire ed estromessi dall’“assalto alla diligenza” dei 209 miliardi promessi dal Recovery Fund.

 

Chiamiamolo col suo vero nome, Next Generation Eu, e rivolgiamo i nostri sforzi esattamente ai giovani, che rischiano di pagare un prezzo salatissimo. Per disegnare un Paese nuovo, che offra vere opportunità di crescita e sviluppo sostenibile, al posto che spingere migliaia di giovani italiani competenti ed entusiasti a emigrare, spesso e (non sappiamo quanto) volentieri nell’Europa frugale, ma evidentemente accogliente.