Il decreto delegato, approvato dal Consiglio dei Ministri, si propone di riorganizzare la riscossione di un'enorme mole di crediti non incassati. Tuttavia, emergono dubbi sul reale impatto di queste nuove misure sul complesso scenario fiscale italiano.
Nonostante le critiche sollevate dagli esperti del Tesoro, il Governo ha mantenuto la sua posizione difendendo il decreto. Questo atteggiamento mette in discussione la responsabilità delle Autorità nei confronti della stabilità economica del Paese.
Eppure, i dati parlano chiaro: il debito fiscale accumulato dal 2000 ha raggiunto cifre sconcertanti, superando la soglia dei 1.200 miliardi di euro e coinvolgendo oltre 22 milioni di contribuenti, di cui 19 milioni sono persone fisiche. Questi numeri delineano un contesto di inefficienza nel recupero dei debiti non pagati che non può essere ignorato e che necessita di soluzioni concrete.
La nuova legislazione prevede, invece, la cancellazione dei crediti affidati all'Agenzia delle Entrate dopo cinque anni di tentativi vani di recupero, a partire dal primo gennaio 2025. Questa decisione, presentata come un tentativo di snellire il carico dei debiti fiscali, in realtà non contribuisce a garantire un recupero effettivo dei debiti né a impedire l'evasione fiscale.
In aggiunta, l'introduzione della maxi-rateizzazione per coloro che invocano difficoltà economiche temporanee solleva interrogativi sulla sostenibilità finanziaria nel lungo termine. C'è il timore che questa misura possa trasformarsi in un incentivo per chi elude il fisco, danneggiando invece i contribuenti onesti.
L'evasione fiscale dovrebbe essere contrastata e non giustificata. In Italia, l'illegalità fiscale è la principale causa dell'insostenibilità dei conti pubblici e dell'impossibilità per lo Stato di garantire servizi di qualità ai propri cittadini. Per questo motivo, fare in modo che tutti contribuiscano al fisco non è una questione di interferenza dello Stato negli affari privati, ma piuttosto di legalità e giustizia sociale.
È evidente che un approccio di questo tipo non favorisce gli interessi di una parte dei contribuenti, anzi va a scapito dei lavoratori, delle lavoratrici, dei pensionati e delle pensionate che sostengono il peso maggiore del sistema fiscale. Una scelta che ancora una volta accresce le disuguaglianze sociali.
Roma, 13 marzo 2024