Le considerazioni del Presidente della BCE a proposito dei due livelli di contrattazione ci lasciano perplessi. La Uil ha definito una proposta di riforma del sistema contrattuale che prevede un sostanziale necessario rafforzamento della contrattazione aziendale e che valorizza la flessibilità insita in questo livello contrattuale, ma non esclude la contrattazione nazionale come riferimento comune a tutti i lavoratori di ogni singola categoria. Questo, infatti, è l’unico modo per assicurare tutele economiche e normative di base a tutti quei lavoratori – e sono la gran maggioranza - che non riescono a fare contrattazione aziendale, anche a causa delle piccole dimensioni della loro azienda. Peraltro, il nostro sistema produttivo è strutturalmente costituito, soprattutto, da piccole e piccolissime aziende. Insomma, i due livelli non sono e non possono essere in alternativa né in contrapposizione tra loro.
Il punto, però, è un altro. Ciò che qualifica la nostra proposta di riforma è il collegamento della contrattazione ai parametri di crescita dell’economia e, segnatamente, al PIL e non più all’inflazione. Noi vogliamo scommettere sulla crescita e siamo convinti che il nuovo modello contrattuale debba contribuire a raggiungere questo obiettivo. Non è più tempo di stare sulla difensiva, ma occorre fare uno scatto in avanti verso lo sviluppo: con una nuova strategia contrattuale, sindacati e lavoratori vogliono essere partecipi di questo impegno comune per il rilancio dell’economia del Paese. Il 2015, dunque, sia l’anno dei contratti per rinnovare, subito, quelli in scadenza o scaduti da anni, nel pubblico e nel privato, e per avviare, contemporaneamente, la discussione tra le parti sulla riforma contrattuale.