: comunicato Stampa del 08/06/2015
Per nutrire il Pianeta, ridurre gli spechi alimentari
Per nutrire il Pianeta, ridurre gli spechi alimentari
08/06/2015  | Sindacato.  

 

Non si può non concordare con quanto  affermato dal Presidente Mattarella nella sua recente visita all’EXPO, ovvero che “nutrire il pianeta è la sfida epocale che l'umanità ha di fronte”. E “nutrire vuol dire assicurare finalmente il diritto al cibo e all'acqua per tutti gli abitanti della Terra”. “Ma vuol dire anche restituire alla terra e, dunque, ai nostri figli e alle generazioni successive, quell'energia della vita che ogni giorno prendiamo in prestito e che non dobbiamo più consumare rischiando di distruggerla, come purtroppo è accaduto negli ultimi mi decenni”.

 

E in tema di alimentazione, utilizzo delle risorse ambientali, uso e abuso di quella grande ricchezza che è l’acqua,  sappiamo bene come  le multinazionali del cibo ( da Monsanto a  Del Monte, alla Dole, ecc.) da tempo dettino legge imponendo prodotti  alimentari provenienti da Paesi del terzo mondo, frutto del lavoro di donne e uomini assolutamente privi di garanzie contrattuali e costretti – per bisogno – ad alienarsi i propri terreni per sopravvivere del poco che sgocciola dalle mense dei paesi maggiormente industrializzati, dove queste multinazionali hanno la loro sede legale.

 

L’alimentazione dovrebbe essere garantita a tutti ma purtroppo per molti è ancora un lontano miraggio. Lo è per le popolazioni del Nepal, colpite dal recente sisma, così come per gli affamati che quotidianamente si affacciano alle nostre coste sperando in un futuro diverso nel quale l’affrancamento dal bisogno del cibo sia finalmente una realtà .

 

Nella stessa Italia, seppure paese di forte industrializzazione e patria indiscutibilmente riconosciuta del “ben mangiare”, la povertà e la mancanza di cibo è una delle più recenti preoccupazioni sociali: si calcola che, solo a Roma, il 4 % della popolazione (114.819 cittadini) vive sotto la soglia di povertà, mentre il 7% (200.934 cittadini) mangia in maniera adeguata solo ogni due giorni. Lo dice il rapporto annuale della Caritas ma lo si avverte anche andando nei mercatini rionali, alla fine della giornata vedendo i numerosi anziani che “trafficano” tra gli scarti della frutta e delle verdure destinati al “cassonetto”. Sempre a Roma, ogni giorno vengono sprecate 20 tonnellate di pane, circa il 10% della produzione totale". 

 

Povertà e sprechi: un binomio osceno che testimonia da un lato l’incapacità di assicurare il necessario a molta parte della popolazione italiana costituita da anziani pensionati e bambini sempre più indigenti, e dall’altro, la comune tendenza al superfluo e l’incapacità a programmare la spesa alimentare giornaliera che spesso, assai spesso, finisce nella pattumiera.

 

Ogni famiglia getta tra i rifiuti ogni anno circa 49 chili di alimenti; tonnellate di cibo che equivalgono -  in soldoni – a otto miliardi di euro l’anno. Una cifra che cresce se aggiungiamo ad essa l’1,4 milioni di tonnellate di prodotti abbandonati nei campi; i due milioni di tonnellate di sprechi derivanti dalla trasformazione industriale e le trecento mila tonnellate di rifiuti della distribuzione commerciale

 

È urgente, e concordiamo su questo con il ministro all’Ambiente Gian Luca Galletti, che anche l’Italia, sull’esempio della Francia, si doti di una legge contro lo spreco alimentare. Una legge che contrariamente ai nostri cugini d’oltralpe abbia però come filosofia ispiratrice l’insegnamento a non sprecare, dando alle aziende gli strumenti per regalare  prodotti in scadenza senza le attuali conseguenze fiscali.

 

 A fotografare lo sperpero casalingo del nostro Paese, da tempo sta provvedendo il Professore Andre  Segré dell’Università di Bologna che attesta che in Italia,  il 55% delle famiglie  getta avanzi quasi ogni giorno; il 30% tre volte a settimana; il 10% 1,2 volte e solo l’1% quasi mai.

 

Si compra troppo senza discernimento su ciò che occorre effettivamente per il fabbisogno familiare. Per  questo è indispensabile una solida educazione che eviti gli sprechi, non solo alimentari, Una istruzione che vada dall’asilo all’università ritornando alla solida, borghese, se si  vuole, cultura del recupero degli alimenti – così fondamentale per l’economia domestica negli anni ‘50/60 -  e dispersa negli anni più recenti

 

Cultura, informazione per non distruggere il pianeta, sono gli strumenti per ridurre i consumi e chi meglio di una donna può portare la cultura del “non spreco”, del risparmio, all’interno di una famiglia consegnandone il valore alla scuola? Le donne infatti sono consapevoli che tutto ciò impatta pesantemente sulle fragili economie domestiche, già provate dalla crisi economica.

 

Ricordando Serge  Latouche e la sua “decrescita felice”, occorre che finalmente si produca  solo quanto si è in grado di consumare e la popolazione mondiale va educata in tal senso.

 

Educare a non dissolvere nei rifiuti i prodotti alimentari significa avere la necessaria sensibilità per combattere tutto ciò che l’uso e l’abuso di questa nostra terra sta producendo in tema di cambiamenti climatici e inquinamento.

 

Si è stimato che se lo spreco alimentare fosse uno Stato, sarebbe il terzo inquinatore dopo Cina e Usa. Perché la quantità di anidride carbonica necessaria a portare il cibo sui nostri piatti è pari a 3,3 miliardi di tonnellate e per produrlo si usa il 30 per cento del terreno coltivabile del mondo con una quantità di acqua ogni anno che basterebbe alle esigenze di tutti i cittadini di New York per più di un secolo.  Senza contare che il costo calcolato del cibo sprecato è pari a 750 miliardi di dollari.