Antonio FOCCILLO: comunicato Stampa del 05/04/2016
Nuovo mantra: in nome della governance si restringono gli spazi democratici
Nuovo mantra: in nome della governance si restringono gli spazi democratici
05/04/2016  | Sindacato.  

 

di Antonio Foccillo

 

Lo spettacolo che stanno dando i partiti con le candidature a sindaco ancora una volta allontanano i cittadini dalla politica.

 

Ormai così si dimostra il declino della partecipazione democratica e soprattutto l’appropriazione di ogni spazio democratico da parte di alcune persone che non hanno nessuna forma di rappresentanza ma guardano solo al momento elettorale per rafforzare il loro potere.

 

Tutto questo spesso è chiamato, come un nuovo mantra: governace.

 

La «governance» è stata, in passato, solennemente celebrata per delegittimare e soffocare il conflitto sociale in quanto versione tecnicamente efficiente e socialmente aperta di una pretesa «partecipazione democratica», ma soprattutto perché priva di quegli elementi caotici tipici degli esercizi di democrazia non riassorbiti nella rappresentanza.

 

Tuttavia le caratteristiche della «governance», termine alquanto variabile nei suoi significati, si sono rivelate, a seguito della crisi in atto, ben diverse dalle promesse.

 

Innanzitutto si è rivelata falsa la esaltazione della capacità della «governance» di aderire, in contrapposizione alla natura centralistica dello Stato, alla complessità delle società contemporanee conferendo poteri sempre maggiori a regioni, province, comuni, municipi con una loro capillare articolazione sul territorio.

 

Però alla fine sono state abolite le province, è stata ridimensionata la capacità di azione delle regioni, sono stati accorpati i municipi e il tutto viene sottoposto a un rigido controllo non dal basso, ma dall’alto.

 

Per di più questo fenomeno di accentramento si estende oltre le sedi politico-istituzionali perché si abolisce, si accorpa e si concentra tutto quanto è possibile e, dove non è possibile accorpare, si istituiscono agenzie centralistiche di valutazione e di controllo attraverso le quali una burocrazia tecnocratica, spesso fuori dal mondo, detta le regole che costano posti di lavoro, riduzione dei diritti e dei servizi e spesso regressione culturale.

 

Insomma il liberismo finanziario, secondo la prassi dei regimi ex comunisti, sta attuando la vecchia idea di pianificazione, ma questa volta al servizio dei «mercati».

 

Sempre in nome della governance, sono state aperte agli imprenditori le porte del governo delle università, ridisegnate, spesso, a loro uso e consumo le dinamiche della formazione per favorire la connessione tra pubblico e privato e al fine di risolverne l’antagonismo e sviluppare una straordinaria cooperazione a favore dell’innovazione e dello sviluppo; inoltre si è puntato sulla sanità privata ed è stata sovvenzionata la scuola non statale.

 

Insomma è stato promosso - in nome di una inesistente concorrenza - il pragmatismo «efficiente» dell’interesse privato nella gestione dei servizi pubblici, dai trasporti allo smaltimento dei rifiuti, alla gestione delle reti idriche.

 

I risultati di questa messa in opera della «governance» sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare dallo stato in cui versano la scuola e l’università, all’erosione di redditi e dei diritti sociali e politici per finire col sistema sanitario nazionale, che le politiche di rigore – come ebbe a dire Monti poco tempo prima di dimettersi – lasciavano prevederne la non sostenibilità delle prestazioni finora erogate.

 

1) La «governance» prevedeva anche il coinvolgimento delle associazioni e delle comunità nella gestione del territorio e delle politiche sociali, aspettativa poi smentita dai tagli di risorse e dalle normative dirigiste che si sono abbattute su diversi soggetti della cosiddetta «società civile».

 

Possiamo quindi dedurre che la «governance» è stato e continua ad essere solo un processo politico volto a conservare i rapporti di forze e le gerarchie sociali esistenti.

 

Essa a volte favorisce la corruzione come strumento di governo, infatti, nelle istituzioni decentrate troviamo la soddisfazione degli appetiti delle clientele e le paradossali ruberie dei rappresentanti politici, l’intreccio sempre più spregiudicato di politica e affari, i sistematici rapporti di scambio con le reti di potere confessionali e non. Rappresenta anche il modo col quale il potere ha cercato di liberarsi del dispendioso sottobosco incaricato di comprare, tra promesse e favori, il consenso popolare. La parola è passata ad «governi tecnici», che hanno usato lo spread come legge per moltiplicare ed ampliare la propria sfera di azione. Ed il fenomeno non è solo italiano perché tutta l’Europa si è dotata di una governance di natura essenzialmente finanziaria, il cui interlocutore principale è la rendita e la cui missione è conservare e riprodurre gli attuali rapporti di forza tra i soggetti sociali così come tra gli stati.

 

Questa governance sospinge gli stati membri a rendersi efficaci articolazioni degli imperativi liberisti, eliminando tutto ciò che li ostacola.

 

La governante insomma malleva l’assunzione di vesti dirigistiche. A titolo di esempio si evidenzia la richiesta tedesca di istituire un super commissario all’euro con il potere di bocciare o promuovere i bilanci nazionali. In tal modo la «governance» si fa «governo», non certo governo politico di cui si invoca retoricamente la necessità di una legittimazione democratica, ma «governo tecnico», che altro non è se non il governo delle oligarchie.

 

Questa centralizzazione tecnocratica del potere, destinata a sfociare in un dispotismo tutt’altro che illuminato, usa il terrorismo finanziario per giustificare il suo insediamento non elettivo al governo e di fatto comprime ogni forma di democrazia e partecipazione politica. Con questo alcuni politici pensano di poter attirare quella imprenditorialità che da noi cerca di sfuggire alla propria mediocrità imprenditoriale buttandosi in politica. Il presupposto della democrazia liberale moderna, cioè il principio della rappresentanza sembra essere ormai superato poiché, nel mondo globalizzato, appare più adeguato un sistema di democrazia diretta che le moderne tecnologie elettroniche e di telecomunicazioni potrebbero consentire in nuove forme.

 

I discorsi sulla frantumazione della materia giuridica e sulla post-modernità giuridica tendono a dimostrare che oramai il diritto non è più il luogo della giustizia sociale capace di opporsi o di regolare le logiche della razionalità economica e della tecno-scienza.

 

Nelle società odierne è evidente come il liberalismo non sia affatto sinonimo di democrazia, anche se le origini dei sistemi rappresentativi nascono da concezioni liberali che esprimevano lo sviluppo e la maturazione delle società mercantili e delle condizioni oggettive per il sorgere del capitalismo.

 

La complessità del sociale e la frammentarietà della esperienza, anche politica, generano una esigenza collettiva di soluzioni giuridiche, norme e criteri per la condotta, a cui non risponde la cultura giuridica perché non riesce a cogliere più la realtà e si inserisce, quindi, come parte della crisi profonda della capacità della società, della sua sfera pubblica, non più all’altezza di assumersi la responsabilità di dare significati agli eventi e di conseguenza di affrontare le questioni.

 

Tutto ciò testimonia una drammatica generale inadeguatezza di deliberare sui fatti, di dare senso collettivamente e razionalmente alle cose.

 

La logica dei tagli imperversa come unico orizzonte possibile del nostro presente - dice Nello Preterossi docente di Filosofia del diritto e Storia delle dottrine politiche all’Università di Salerno - Domina ormai anche il dibattito sulla crisi della rappresentanza democratica e sulla necessaria rigenerazione della politica in Italia.

 

Le uniche ricette che sembrano prevalere nella discussione pubblica sono tutte declinate nel senso della contrazione dello spazio della politica.

 

Come se il vero problema oggi non fosse il radicale squilibrio di potere tra finanza e democrazia, decisioni imposte in virtù di uno stato di necessità economico interpretato come legge naturale e autonoma progettualità politica fondata su un’effettiva legittimazione democratica.

 

Le soluzioni secondo gli umori dell’opinione pubblica, sarebbero l’eliminazione o la drastica riduzione del finanziamento pubblico dei partiti, il taglio dei parlamentari, il rafforzamento del vertice dell’Esecutivo a scapito del Parlamento ecc.

 

Ma la soluzione non consiste nel ridurre lo spazio e il ruolo della politica, al contrario sarebbe necessario rilanciarne la funzione irrinunciabile di mediazione e orientamento collettivo.

 

Di fronte al tentativo in atto di privatizzare e comprimere i soggetti della democrazia, bisogna reagire per ricostruirne l’autorevolezza e la legittimazione.

 

Ristabilire le connessioni della società alle istituzioni, in assenza delle quali la convivenza civile viene meno e una comunità politica si sfalda, precipitando nella decivilizzazione.

 

Noi riteniamo che il progresso della nostra civiltà, altamente tecnicizzata, deve permettere all’umanità non solo il godimento delle sue conquiste economiche, che si vanno concentrando velocemente nelle mani di pochi ricchi, ma soprattutto non deve impedire che anche le conquiste politiche e sociali progrediscano come quelle tecniche ed economiche.

 

In questa situazione un “nuovo” ruolo può svolgerlo proprio il sindacato, rimasto uno dei pochi strumenti ancora democratici, riaffermando il diritto alla partecipazione democratica e rafforzando la sua strategia, facendolo diventare soggetto di rappresentanza di una nuova forma partecipativa per una società che ripristini valori e ideali per garantire a tutti i cittadini ed ai lavoratori nuovi diritti di cittadinanza e nel lavoro.

 

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1) Monti: ‘’Il Sistema sanitario è insostenibile’’ - Il premier: “Potrebbe non essere garantito senza nuovi finanziamenti”.

 

“Il Servizio sanitario nazionale è a rischio”. è l’allarme lanciato dal presidente del Consiglio Mario Monti, all’inaugurazione di un centro biomedico della fondazione Ri.Med a Palermo. In collegamento telefonico, il premier ha detto che “il nostro Sistema sanitario nazionale, di cui andiamo fieri, potrebbe non essere garantito se non si individuano nuove modalità di finanziamento”.

 

Una notizia ancor più allarmante se si considera che nel 2013 entreranno in vigore nuovi tagli alla sanità e che molti pronto soccorso nelle grandi città sono a rischio. Le parole di Monti sono state davvero pessimiste: “Non sono tante le occasioni per me e per i ministri per guardare l’oggi con conforto e il domani con grande speranza. Il momento è difficile la crisi ha colpito tutti e ha ci ha impartito lezioni.

 

E il comparto medico non è stato esente né immune dalla crisi.

 

“Il governo è però un vostro alleato prezioso.

 

L’obiettivo adesso è quello di rivedere la luce dopo una fase in cui abbiamo rischiato di essere travolti dalla crisi finanziaria.

 

Bisogna al più presto andare in avanti verso la costruzione del proprio futuro, che non è scindibile dal futuro della comunità internazionale”.