Ivana VERONESE: comunicato Stampa del 24/09/2018
Il reddito di cittadinanza solo per gli italiani non si può fare
Il reddito di cittadinanza solo per gli italiani non si può fare
24/09/2018  | Immigrazione.  

 

Le pronunce della Consulta e le direttive europee: ecco perché l'idea di Salvini e Di Maio di discriminare per nazionalità è destinato a infrangersi contro le sentenze dei tribunali.

 

Samuele Cafasso, https://www.lettera43.it/it/

 

Le dichiarazioni del ministro Luigi Di Maio subito applaudite dal collega Matteo Salvini secondo cui il reddito di cittadinanza sarà riservato solo agli italiani sollevano un problema di costituzionalità e di rispetto delle regole Ue: precedenti pronunce della Corte Costituzionale e almeno tre direttive europee escludono che si possa intraprendere questa strada senza incorrere in una successiva bocciatura da parte dei tribunali italiani ed europei. Il presidente del Cnel ed ex ministro del Lavoro Tiziano Treu ha già dichiarato che, a suo parere, un reddito di cittadinanza riservato solo agli italiani non sarebbe accettabile.

 

COSA DICE LA CONSULTA SULL'ASSEGNO DI INVALIDITÀ

 

Per quanto riguarda i principi costituzionali, il ricercatore in Diritto pubblico comparato della Sapienza Angelo Schillaci richiama, tra le molte, una sentenza in particolare della Corte Costituzionale, la 187 del 2010, a cui si era rivolta una cittadina rumena munita di permesso di soggiorno cui era stato negato l'assegno di invalidità civile. La Corte, nel suo pronunciamento, spiega che è consentito allo Stato, entro certi limiti, discriminare l'accesso a determinati strumenti di welfare a seconda della cittadinanza del richiedente. Questi limiti devono però tenere conto dei principi di non discriminazione e di rispetto dei diritti primari della persona: ovvero non è possibile negare «un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei “bisogni primari” inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque, un diritto fondamentale perché garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto».

 

L'assegno di invalidità per questo motivo non può essere negato agli stranieri, sia che abbiano un permesso di soggiorno a tempo indeterminato sia che abbiano un permesso unico di lavoro, cioè a tempo. «L’art. 10.2 della Costituzione prevede che la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge. Il Testo unico sull'immigrazione equipara cittadini e stranieri quanto al godimento dei diritti fondamentali, civili o sociali che siano. In ogni caso, trattamenti differenziati tra stranieri e cittadini sono ammessi; tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale devono rispettare il canone di ragionevolezza imposto dal principio costituzionale di eguaglianza».

 

L'EUROPA GARANTISCE IL DIRITTO ALLA PARITÀ DI TRATTAMENTO

 

I paletti fissati dalla Corte Costituzionale per l'assegno di invalidità, secondo Alberto Guariso, avvocato di Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione), sarebbero applicabili anche al reddito di cittadinanza qualora questo sia presentato come un sostegno di base ai cittadini contro la povertà assoluta, come in effetti è stato finora tratteggiato dal Movimento cinque stelle. L'uscita dalla povertà assoluta, infatti, rientra pienamente tra i diritti fondamentali per la stessa sopravvivenza del soggetto. Poniamo tuttavia l'ipotesi che il governo scriva la legge che istituisce il reddito di cittadinanza – che a questo punto non si dovrebbe chiamare più così – in maniera tale da configurarlo come uno strumento di welfare che esula la tutela dei diritti fondamentali della persona. In questo caso potrebbe discriminare gli stranieri? No, perché la direttiva europea 109 del 2003 spiega che i cosiddetti “lunghi soggiornanti” hanno diritto alla parità di trattamento assoluta nelle prestazioni di assistenza sociale. I “lunghi soggiornati” sono il 65% degli stranieri regolari presenti nel nostro Paese. Un'altra direttiva riguarda i titolari di protezione internazionale (asilo politico etc): è la direttiva 95 del 2011 e, anche in questo caso, prevede la parità di trattamento assoluta.

 

DOPPIO BINARIO PER CHI HA PERMESSI DI SOGGIORNO A TEMPO

 

Rimane a questo punto la tutela degli stranieri che hanno un permesso di soggiorno a tempo, pari al 35% degli immigrati presenti regolarmente sul nostro territorio. Qui la questione è un po' più complicata: la direttiva 98 del 2011 riserva loro tutele come l'assegno di maternità e le prestazioni sociali diverse da quelle di contrasto alla povertà. Quindi il reddito di cittadinanza, se concepito come misura contro la povertà, non è coperto dalla direttiva europea. Ma, in questo caso, si rientra nei dubbi di costituzionalità. E quindi l'assegno sarebbe comunque dovuto.

 

IL PRECEDENTE DEL REDDITO DI INCLUSIONE

 

Alcuni precedenti spiegano quanto sia giuridicamente difficile, per non dire impossibile, escludere gli stranieri. Ad oggi tutti gli strumenti di protezione sociale come l'assegno di maternità per le donne che non lavorano, il bonus bebè e il premio alla nascita di 800 euro, sono riconosciuti ai lunghi soggiornanti, e non potrebbe essere altrimenti dopo i numerosi pronunciamenti delle corti italiane ed europee. Inoltre, tutte le cause patrocinate dall'Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (Asgi) hanno dato ragione ai richiedenti con un permesso di soggiorno a tempo che domandavano le stesse tutele. Per tutti questi motivi, il governo Gentiloni, quando ha istituito il Rei, il reddito di inclusione, ha garantito immediatamente chi ha un permesso a tempo indeterminato, introducendo però un limite per chi ha invece un permesso a tempo e che, per avere l'assegno, deve quindi risiedere da almeno due anni sul territorio italiano. E contro questa limitazione sono già in corso cause su cui si pronuncerà la Corte Costituzionale.