La narrazione, di cui spesso si abusa, secondo la quale la Puglia sarebbe una sorta di mosca bianca nel contesto più generale di un Mezzogiorno ancora in crisi, con il freno a mano tirato rispetto a un Nord che viaggia a vele spiegate su standard europei, è facilmente smentita dai numeri. La Puglia, purtroppo, tranne qualche settore particolare dove, oggettivamente, si assiste a una ripresa notevole, come il turismo, non fa eccezione al quadro di una crisi drammatica che stenta ad abbandonare il tessuto socio-economico meridionale. Ne è la prova il tasso di disoccupazione locale, che vede circa 240mila pugliesi in cerca attiva di lavoro, quasi un giovane su due senza occupazione e i Neet che ormai sfondano quota 300mila, con realtà provinciali come Brindisi in fondo alle classifiche nazionali. Anche i dati sulla cassa integrazione sono impietosi: secondo l’ultimo rapporto pubblicato dalla Uil nazionale, in Puglia si è registrato un incremento dell’utilizzo dello strumento pari a oltre il 31% rispetto allo scorso anno.
L’elencazione delle vertenze aziendali disseminate sui vari tavoli di crisi nazionali e regionali è purtroppo lunghissima. Qui in Puglia, ad esempio, insistono due delle vertenze metalmeccaniche più importanti del Paese: Ilva e Bosch, ovvero le due realtà con maggiore bacino occupazionale della Puglia e tra le cinque più grandi del Mezzogiorno. Due vertenze che stanno vivendo una fase critica, all’Ilva con la nuova proprietà che, è notizia di qualche giorno, “minaccia” di lasciare a casa circa 5000 lavoratori, dopo i 1300 finiti in cassa integrazione, con lo spettro della chiusura dietro l’angolo. E alla Bosch con l’incubo di 600 esuberi, nonostante gli appelli e gli accordi mirati a una diversificazione della produzione che fosse in grado di assorbire il calo dovuto alla crisi del mercato diesel. Ma le vertenze sulle quali il sindacato è impegnato non riguardano solo il settore metalmeccanico, anzi sono trasversali: dal caporalato, un cancro difficile da debellare, alla Sanità, con il deficit ormai cronico delle piante organiche in dotazione ai nosocomi pugliesi che producono effetti deleteri per le comunità locali a cominciare dalle infinite liste d’attesa e dalla mobilità passiva, o alla scuola, con un precariato sempre più dilagante nel corpo docente e un fabbisogno di personale Ata che solo in parte è stato colmato, rendendo il compito dei dirigenti scolastici, già costretti a convivere con uno stato dell’edilizia scolastica poco rassicurante, una vera e propria impresa. Capitoli altrettanto impegnativi sono quelli riguardanti i servizi e il commercio - con il caso Mercatone Uno ancora lontano da una soluzione, il passaggio Auchan-Conad che proietta ombre scure sul futuro di tanti lavoratori pugliesi e il saldo aperture-chiusure della piccola distribuzione in costante trend negativo – e l’editoria, con la Gazzetta del Mezzogiorno sempre più in affanno e alle prese con numerosi esuberi. Infine, di questi giorni è la notizia positiva del salvataggio, grazie al lavoro incessante della categoria, di oltre 500 posti di lavoro alla Network Contacts, call center con sede a Molfetta. Ma si tratta solo di una vittoria, seppur grande: il ricorso alle delocalizzazioni, nel comparto, è ormai prassi consolidata e permangono gravi difficoltà nel settore che rendono non più prorogabili importanti interventi legislativi, oltre che una regolamentazione nella messa a bando delle commesse che spesso vengono acquisite con il meccanismo del massimo ribasso, con effetti devastanti sia sui lavoratori che sull’economia complessiva delle imprese che operano nel settore.
Un’altra piccola, grande vittoria è arrivata dall’Arif, l’ente irriguo della Regione Puglia, dove dopo anni di attesa e di tribolazioni, oltre 300 lavoratori irrigui e forestali in somministrazione sono stati finalmente stabilizzati. Tuttavia, anche in questo settore c’è ancora tanto da fare, a cominciare dalla situazione dei consorzi di bonifica, i cui lavoratori non hanno alcuna certezza, ma convivono ancora con lo spettro di un perdurante e incerto commissariamento. L’unica ricetta utile a risollevare l’economia di una regione dalle mille potenzialità come la Puglia è quella che si basa su tre ingredienti fondamentali e imprescindibili: infrastrutturazione, cantierizzazione e innovazione. Occorrono infrastrutture che colleghino il territorio ai mercati settentrionali ed europei, rendendolo attrattivo per i grandi capitali e investimenti, restituendo al tempo stesso competitività alle aziende locali, dove le eccellenze, anche in capitale umano, non mancano di certo. Vanno poi sbloccati i cantieri, i tanti cantieri ancora al palo, avvitati su lungaggini e pastoie burocratiche, ma va fatto nel rispetto della legalità e della qualità, chiudendo le porte a sistemi come quello del massimo ribasso e alle infiltrazioni malavitose. Infine, bisogna destinare risorse all’innovazione, vero volano per efficientare non solo la produzione, ma anche l’amministrazione, attraverso una più fitta interlocuzione fra il tessuto produttivo, l’università, il pubblico e le parti sociali. Senza questi ingredienti, parlare di crescita e sviluppo diventa un mero, quanto inutile esercizio dialettico.