«Carissime lettrici e carissimi lettori di Sicurezza in Rete,
questa edizione della newsletter è stata preparata a cavallo tra il mese di gennaio e i primi giorni di feb-
braio. Troverete, come sempre, progetti e testimonianze dai territori e dalle categorie. Eravamo pronti
per l’invio ma venerdì 16 abbiamo bloccato tutto. È arrivata la notizia del crollo del cantiere di Firenze,
nella mattinata continuavano a rincorrersi notizie sugli operai morti, feriti, dispersi.
Le richieste al governo, le audizioni in Parlamento, le stesure delle piattaforme di proposte, i seminari,
le iniziative, i progetti di ricerca, quelli di formazione, questa stessa newsletter… Il tema della Salute e
Sicurezza sul lavoro è senza dubbio quello che ci vede più investiti, sul quale cerchiamo costantemen-
te nuovi strumenti, più efficaci, più diffusi, più risolutivi. È il primo punto, quello imprescindibile, quello
a partire dal quale cominciare a discutere tutto il resto: il lavoro deve essere sicuro. Chi esce di casa la
mattina per andare a lavorare deve essere sicuro di farci ritorno la sera.
Quando abbiamo letto il primo lancio di agenzia, “crollo in un cantiere a Firenze, morti due operai”, è monta-
ta subito la rabbia, la frustrazione, il senso di impotenza e la sensazione di inutilità di tutto ciò a cui lavoriamo
ogni giorno. Nel 2024, mentre parliamo di evoluzione dell’Intelligenza Artificiale e sviluppiamo tecnologie in
grado di fare cose impensabili, gli operai muoiono ancora nei cantieri. Facciamo missioni nello spazio ma non
riusciamo ad arginare una mattanza che ogni anno travolge più di mille vite di lavoratrici e lavoratori, sen-
za considerare gli infortuni gravi, che lasciano altissimi livelli di invalidità, che si contano in decine di migliaia.
È vergognoso, è indegno di un Paese che si considera civile. Che quest’anno ha la presidenza del G7, fo-
rum dei sette Stati maggiormente economicamente avanzati dell’intero pianeta.
Nei giorni scorsi ne hanno parlato tutti. Già meno di una settimana dopo, gli articoli su Firenze sono slit-
tati sul fondo delle home page dei maggiori quotidiani. Vi ricordate Brandizzo? Il cordoglio, lo sdegno, il
“dobbiamo fare qualcosa”. Non si è fatto niente: era sei mesi fa e siamo di nuovo qui, a piangere altre vite,
a seppellire altri lavoratori che si potevano, che si dovevano, proteggere. Finiscono le passerelle dei po-
litici, l’attenzione del pubblico migra altrove, le telecamere se ne vanno.
Ma il Sindacato no. Noi restiamo. Noi siamo sempre restati, noi non ce ne siamo mai andati. E allora capiamo che non dobbiamo,
non possiamo, arretrare neanche di un millimetro rispetto al nostro impegno. Che tutto ciò che facciamo non
è inutile, è prezioso. E se non è abbastanza, duplicheremo, decuplicheremo gli sforzi. Ma ogni lavoratrice o lavoratore che possiamo formare
e rendere in grado di chiedere conto di procedure o dispositivi non a norma
ogni RLS al quale diamo strumenti e competenze; ogni scoperta della ricerca che protegge e previene; ogni conquista sul piano legislativo, come lo sono state le assunzioni degli ispettori a lungo contrattate con il
Governo Draghi – ogni sforzo che mettiamo in campo, dai territori al nazionale, dalle categorie al confederale,
è prezioso. Senza il Sindacato, quel numero sarebbe molto più alto di mille.
Non possiamo pensare di arrivare da soli all’obiettivo di zero morti sul lavoro: è fondamentale un impegno
serio, profondo, concreto, del Governo e del Parlamento, delle imprese, di tutto il sistema. Non c’è una ri-
cetta semplice: le soluzioni esistono ma sono molteplici, investono tanti piani e devono essere attuate tutte
e tutte insieme, se davvero si vogliono risultati. Se davvero una vita umana vale più del profitto, se questa
non è una frase fatta, buona per il titolo di qualche comunicato stampa e per sperare di incantare le perso-
ne, convincendole che si sta facendo qualcosa quando invece tutto rimane com’era.
Solo i fatti convinceranno le cittadine e i cittadini, le lavoratrici e i lavoratori. Solo i fatti convinceranno
noi, come Sindacato: solo quando il contatore della morte smetterà di girare».
Ivana Veronese