Carmelo Barbagallo, Segretario generale UIL, in occasione del convegno online dedicato al 50esimo anniversario dello Statuto dei Lavoratori, organizzato dalle fondazioni Di Vittorio, Pastore e Buozzi in collaborazione con il Comitato per gli anniversari di interesse nazionale della Presidenza del Consiglio.
Lo Statuto dei Lavoratori compie cinquant’anni. Gli effetti di questa legge in una grande azienda come la Fiat, dove io ho iniziato a lavorare proprio 50 anni fa, si sono avuti l’anno successivo quando è stato firmato l’accordo del 5 agosto 1971 sulla rappresentanza e sui cosiddetti comitati linee per contrastare la tempistica e i metodi utilizzati dalla Fiat.
Da quel momento si sono intensificati il dialogo e la partecipazione dei lavoratori alla vita della fabbrica.
Non tutti ricordano, però, che lo statuto dei lavoratori si applica solo alle aziende con più di 15 dipendenti. La maggioranza delle imprese del nostro paese ha meno di 15 dipendenti e, in quelle realtà, questa legge non è applicabile. Noi abbiamo cercato di supplire a questa carenza intervenendo con i sindacati territoriali e, soprattutto, offrendo ai lavoratori, ai cittadini e ai pensionati i nostri servizi. Su questo punto si sono sempre fatte delle battaglie ideologiche e, invece, bisognerebbe fare battaglie di buon senso.
In questi ultimi anni, purtroppo, è prevalsa la logica iperliberista e la ricchezza si è accumulata nelle mani di pochi e non è stata redistribuita ovunque nel mondo. Noi non abbiamo saputo regolare la globalizzazione e le multinazionali hanno fatto il bello e il cattivo tempo delocalizzando e sfruttando le risorse economiche nei paesi in cui sono intervenute spesso andandosene insalutati ospiti.
Ho sempre proposto che a quelle multinazionali che si comportano in questo modo scorretto occorrerebbe richiedere la restituzione del maltolto e cioè di tutti i vantaggi economici ottenuti. Solo colpendo le multinazionali nel portafoglio è possibile che adottino politiche diverse. Se non ridistribuissimo la ricchezza e proseguissimo nella politica dell’austerità ci sarebbero svantaggi per tutta l’economia. Il nostro paese e gli stessi imprenditori rischierebbero di chiudere perché lavoratori e pensionati non avrebbero le risorse per comprare i loro servizi e i loro prodotti.
Una nuova carta dei diritti può essere utile, però, bisognerà conoscere prima qual è la nuova realtà del lavoro che si realizzerà nel nostro paese. L’errore peggiore sarebbe quello di realizzare processi di informatizzazione, digitalizzazione e innovazione senza regole. Bisogna evitare il rischio che ci sia qualcuno dietro questo processi che decida per noi e il sindacato si deve battere per cambiare questo approccio e per poter intervenire per regolare le nuove attività lavorative.
In questa fase la pandemia ci ha permesso, ad esempio, di sperimentare lo smart working e abbiamo compreso che esistono problematiche da risolvere in merito all’orario di lavoro e al diritto alla disconnessione e alla sicurezza, Ebbene, dobbiamo ridiscutere e ridisegnare l’organizzazione del lavoro, i nuovi diritti e i nuovi doveri delle lavoratrici e dei lavoratori. Bisognerà, quindi, codificare la nuova realtà per non mandare allo sbaraglio le nuove generazioni che dovranno invece contribuire alla crescita dell’Italia.
Ecco perché serve un Patto per il Paese non solo per modificare le regole, ma per farlo con buon senso e nella prospettiva di uno sviluppo complessivo. E noi ci batteremo per questo.
Roma, 20 maggio 2020