Alla fine dell’intervento consegnerò alla Presidenza il documento: “Per un modello di sviluppo sostenibile” preparato unitariamente nei giorni scorsi da CGIL CISL UIL nazionali, contenente proposte e azioni concrete per la salvaguardia dell’ambiente, del lavoro e della qualità della vita. L’aumentata consapevolezza sulle tematiche legate alla tutela dell’ambiente e ai cambiamenti climatici, deve indurretutte le generazioni a chiederealla politica di intervenire subito. Il tema dell’ambiente, la sua tutela, il rapporto con la produzione e l’evoluzione del mondo del lavoroimpone di saper coniugarel’obiettivo dello sviluppo economico, con il rispetto e la tutela dell’ambiente.
Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile, programma sottoscritto nel settembre 2015 dai Governi di 193 Paesi, Italia compresa, ingloba una serie di obiettivi comuni:
• sviluppo dell’industria del recupero e del riciclo, in grado di trasformare i rifiuti in risorse e recuperare materia prima; • prevenzione e messa in sicurezza del territorio;
• argine e contenimento del consumo del suolo, con leggi a sostegno della rigenerazione e del recupero urbano; • promozione di nuove infrastrutture ferroviarie e adeguamento di quelle esistenti, al fine di favorire il passaggio del trasporto di merci e persone da gomma a ferro; • attuazione di una vasta e capillare azione mediatica e informativa, nei confronti di tutta la popolazione;
• utilizzo degli Indicatori del benessere equo e sostenibile (Bes) da affiancare al PIL, oggi unico indicatore di crescita;
• incremento degli investimenti per efficienza energetica e per energia pulita, superando la logica di temporaneità degli ecobonus, che devono essere potenziati e resi strutturali;
• incremento della spesa in ricerca e sviluppo nel settore ambientale. Lo sviluppo sostenibile è trasversale a tutti i settori economici, richiede profondi cambiamenti, a livello personale e di organizzazione, oltre ad un alto livello di coerenza fra enunciazionie azioni concrete.
La temperatura media globale, aumentata di 1°Celsius rispetto al livello preindustriale, ha aggravato la povertà e le diseguaglianze e fa rabbrividire la previsione che entro il 2050 il cambiamento climatico potrebbe determinare la migrazione di quasi 200 milioni di persone. Per vincere la sfida occorre un cambiamento radicale dell’intero sistema economico e produttivo, che deve spostarsi da un modello basato sulle fonti fossili a uno di sviluppo equo e sostenibile. È evidente che, nel frattempo, sono a rischio molti posti di lavoro, pertanto i processi di riconversione vanno affrontati con gradualità, intelligenza e sensibilità sociale, rifuggendo dalla demagogia e dalla faciloneria. Il “Decreto Clima”, recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, rappresenta un primo passo, ancora insufficiente a invertire la tendenza, anche per la scarsa consistenza dei fondi stanziati (450 milioni). Tutela dell’ambiente, salvaguardia dell’occupazione e creazione di nuovi posti di lavoro non sono obiettivi inconciliabili. Un’ipotesi concreta da sviluppare è la “green economy”, vista come opportunità trasversale a tutti i settori produttivi, essenziale per la competitività delle aziende, la qualità e la dignità del lavoro. L’economia verde richiede nuove figure professionali e nuove competenze. I lavoratori impiegati in Italia nella cosiddetta economia “verde” sono attualmente tre milioni, quasi il 13% del totale degli occupati, il 46% delle assunzioni è a tempo indeterminato, rispetto ad una media nazionale degli altri settori inferiore al 25%. Il difficile rapporto tra sviluppo e sostenibilità è particolarmente evidente nell’edilizia, che ha subito pesantemente gli effetti della
crisi. Bisogna operare per il recupero e la riqualificazione dei centri urbani, per i quali si sta diffondendo ed affermando una maggiore sensibilità, dopo la fase di cementificazione selvaggia, che ha portato ad un enorme tasso di consumo del suolo, passato dal 2,9% degli anni ’50 al 7,3% attuale. La progettazione di nuovi quartieri e la riqualificazione di quelli esistenti devono rispondere ad una visione che facilita la coesione, la convivenza e l’interazione tra i residenti. È impensabile ritenere che il rilancio possa essere legato solo alle grandi infrastrutture, perciò bisogna preoccuparsi della messa in sicurezza del territorio, del dissesto idrogeologico (il Piemonte è periodicamente soggetto ad alluvioni devastanti) dell’impatto delle attività sismiche, che frequentemente coinvolgono il territorio nazionale. Non dimentichiamo che l’81,9% dei comuni italiani sorge su un territorio ad elevato rischio idrogeologico e che il 66,8% degli italiani abita in zone sismiche. Investire in prevenzione significa, in primo luogo, ridurre il numero delle vittime, ma anche risparmiare risorse importanti nella ricostruzione e nella gestione dell’emergenza. Anche gli investimenti per l’efficientamento degli edifici pubblici dovrebbero essere intensificati, perché sarebbero ripagati in pochi anni, producendo risparmio energetico, occupazione qualificata e l’eliminazione di CO2. Bisogna praticare un nuovo concetto di mobilità sostenibile, capace di rispettare l’ambiente, puntando su un trasporto non inquinante, ad emissioni zero. Nella tutela delle risorse è strategico assicurare il servizio idrico integrato lungo l’intero ciclo dell’acqua, con garanzie di qualità, di tariffe eque, di controllo da parte pubblica. Per quanto riguarda l’inquinamento, il rapporto “Sentieri” dell’Istituto Superiore di Sanità, esaminando 45 siti produttivi ad elevata criticità ambientale, ha rilevato, per chi ha vissuto in queste zone, tra il 2006 e il 2013, un eccesso di mortalità. Non si può mettere le comunità nelle condizioni di dover scegliere se morire di tumore o di stenti per mancanza di lavoro. Il lavoro deve essere svolto in sicurezza, perciò infortuni e inquinamento sono inaccettabili. Per gli obiettivi richiamati, è fondamentale, inoltre, il ruolo della ricerca che va sostenuta con forti investimenti pubblici. Le istituzioni europee stimano che la realizzazione degli obiettivi energetici e climatici previsti per il 2030 richiede un volume di investimenti, pubblici e privati, che varia dai 180 ai 270 miliardi di euro. L’Italia, seconda industria manifatturiera europea, deve incrementare gli investimenti pubblici fino a raggiungere il 6% del PIL, dal 2% attuale.