Non è sufficiente limitarsi a registrare i positivi risultati globalmente raggiunti dalla politica economica italiana: “il fatto che non si sia riusciti ad incidere in maniera determinante sul problema degli squilibri e, soprattutto, a modificare i meccanismi di crescita dei settori, delle zone e dei gruppi sociali in ritardo nella nostra economia indica i limiti che in sé contiene un processo legato alle scelte che il mercato autonomamente effettua”. Dopo la fase necessaria alla ricostruzione di quanto la guerra aveva distrutto, dopo il processo di liberalizzazione degli scambi con l’estero per poter porre il nostro sistema produttivo in condizioni competitive, “oggi si impone la soluzione dei problemi che non si sono finora compiutamente potuti affrontare. E si impone nel quadro di una politica di programmazione”. Così Ugo La Malfa nella famosa Nota aggiuntiva alla Relazione generale del Paese (del 1961) presentata alla Camera il 26 maggio dell’anno successivo.
Abbiamo voluto iniziare questo sommario resoconto del Convegno Uil su “Ugo La Malfa e il mondo del lavoro” (19 giugno) proprio con alcune righe della sua Nota perché tutti gli oratori vi hanno fatto riferimento, l’hanno citata, ne hanno ribadito l’importanza e la necessità di rileggerla per ricordarla agli improvvisati governanti di oggi ed utilizzarla nella soluzione dei problemi di questi tempi. Il convegno Uil è stato un lungo e appassionato momento di riflessione (non una celebrazione) sulle intuizioni e le convinzioni del politico repubblicano siciliano, scomparso nel 1979, e sull’influenza che esercitò sul mondo sindacale. “La programmazione globale dello sviluppo – sosteneva – è l’unica proposta alternativa che una sinistra riformatri ce abbia nelle mani per modificare le strutture della società democratica in cui essa opera”. “La mancanza di un grande programma di sviluppo e di riforma della società italiana, maturato attraverso l’analisi delle sue condizioni reali, è stato il grande vuoto della sinistra, che ha impedito un appello di significato politico generale e che ha alimentato fughe nelle direzioni più diverse”. Una politica di programmazione, dopo un’attenta analisi della reale situazione del Paese e delle sue varie componenti, doveva essere dunque la base per una seria politica sociale.
A cominciare con il risanamento delle situazioni più arretrate e deboli. Domenico Proietti (Segretario confederale Uil) ha tenuto la relazione: concisa e densamente materiata, mettendo in luce come La Malfa ritenesse “fondamentale” il rapporto tra governo e sindacati, tra chi è stato eletto per governare il Paese e chi è alla base del suo sviluppo con la fatica della sua attività. Tale rapporto era ritenuto fondamentale da La Malfa, invece per diversi motivi ha avuto sempre un andamento altalenante. Ma due cose sono certe: il processo di maturazione e di responsabilizzazione del sindacato è andato avanti; i risultati migliori l’Italia li ha conseguiti quando questo rapporto è stato continuo, corresponsabile e di fattiva collaborazione. Dopo la relazione sono intervenuti i vari oratori. Adolfo Battaglia (giornalista, direttore de La Voce Repubblicana, membro della direzione del Pri, ministro dell’industria) ha esordito ricordando La Malfa come convinto democratico vicino al mondo del lavoro: era legato ai problemi degli ultimi, degli emarginati, del Mezzogiorno da cui proveniva. Con la sua Nota aggiuntiva volle portare alla ribalta tutto il complesso mondo del lavoro. Insisteva perché nella Commissione per lo sviluppo oltre a rappresentanti dei partiti e del mondo imprenditoriale non mancassero i responsabili dei sindacati confederali; da parte sua il sindacato doveva essere più forte: passare “da soggetto recettore a soggetto attivo per la programmazione generale”. Ciò non era però accettato dalle forze conservatrici e imprenditoriali che, infatti, lo avversarono.
Né fu capito allora da tutto il mondo sindacale, appiattito sul faticoso lavoro contrattuale. Tutte le forze della sinistra potevano riconoscersi nelle tematiche lamalfiane, lo stesso Giorgio Napolitano riconobbe all’allora ministro del bilancio “il punto più alto di analisi ed elaborazione” perché aveva elaborato una terza via tra un’incontrollata economia di mercato e un intervento del governo ad indirizzo statalista. Ma bisognava che maturassero i tempi perché la programmazione sostenuta la Ugo La Malfa diventasse patrimonio anche di tutto il sindacato. Giorgio Benvenuto ha ricordato l’attività di La Malfa durante la Resistenza nelle file di Giustizia e Libertà e del PdA, determinanti per la sconfitta del fascismo. Ha accennato al suo carattere: un uomo che non mollava mai, che sapeva ammettere le sconfitte ma non smetteva mai; gli piaceva la discussione perché era sempre aperto a capire le ragioni degli altri. Ha ricordato anche il ruolo dei repubblicani durante la crisi sindacale del 1948, allorché la componente democristiana lasciò la Cgil mentre repubblicani e socialdemocratici vi rimasero a difesa delle idee socialiste e democratiche; dopo i fatti di Molinella i repubblicani restarono soli, una sparuta minoranza ma neppure dopo l’espulsione di Vanni accettarono di confluire nella Lcgil. Nel ‘50 invece furono i primi e i più numerosi a costituire la nuova formazione della Uil e fino al ’53 ne sostennero il faticoso affermarsi. Anche La Malfa fu attivo in questo senso, partecipando alle riunioni costitutive della nuova formazione. Soprattutto, nel primo difficile clima del dopoguerra, La Malfa puntò all’occidentalizzazione del Paese e, diventato Segretario del suo partito, impresse una nuova immagine al Pri. E molti giovani repubblicani scelsero di aderire alla Uil, tanto da conferirle un nuovo volto. La Malfa si auspicava infatti un sindacato dei lavoratori più libero e più forte. Benvenuto ha quindi ricordato le avversità che dovette superare per l’attuazione del centro-sinistra e il suo forte legame con Pertini che lo considerava una persona “eccezionale”. Per la quale si potrebbe dire “fortunato quel Paese che quando ha avuto bisogno di eroi ha potuto trovarne”.
Era stato Mazzini, fin dal 1847, a pensare ad una piattaforma internazionale del lavoro quando propose la “Lega internazionale dei popoli”: nei grandi mercati delle merci che si stavano sviluppando bisognava far spazio anche ai popoli da emancipare; un’idea strepitosa. Con questi ricordi storici Roberto Balzani (docente all’università di Bologna e sindaco di Forlì) ha subito inquadrato l’azione di La Malfa nel primo dopoguerra, quel suo insistere sull’importanza del ministero degli affari esteri (come aveva fatto cento anni prima Mazzini), quel suo sforzo di cambiare anche il lessico usuale perché si parlasse di modernizzazione e sviluppo, quel suo proporre le riflessioni degli autori americani perché il problema maggiore era l’arretratezza del Paese che aveva bisogno di una rapida modernizzazione. Che non poteva essere lasciata nelle mani delle varie corporazioni ma assunta e diretta da una responsabilizzazione totale. Perché lo sviluppo interessa tutti e va esteso a tutti: tutti gli elementi del Paese vi sono interessati, perché bisogna cancellare ogni marginalizzazione sociale. Il discorso di La Malfa sulla 600 potrebbe essere tranquillamente essere riproposto anche oggi: dare un’automobile a tutti? E perché non le medesime possibilità di scuola? E perché non tagliare gli stipendi ai manager e trasferirne l’importo in quote di investimento? Negli anni ’60 si accumulava un cospicuo capitale che andava gestito bene, indirizzandolo verso l’ammodernamento e lo sviluppo del Paese. Adriano Musi ha preferito ricordare la figura di La Malfa uomo di tutti i giorni: la sua simpatia, le sue battute, la sua eccezionale capacità mnemonica, il suo ruolo di “coscienza critica” che gli aveva attirato non poche antipatie. Ha detto che il giorno del suo funerale nessuno si sarebbe aspettato una così grande partecipazione di folla; tanti i cittadini sulla piazza di Montecitorio: era evidente che la gente lo aveva capito, aveva apprezzato il suo rigore e giudicate giuste le critiche che muoveva ai politici del suo tempo.
L’ex Segretario Confederale Uil ha confessato di aver scelto di far politica nel partito repubblicano quando, da giovane, rimase colpito dalla famosa parabola che La Malfa raccontava: se in una famiglia ci sono tre fratelli di cui solo uno lavora regolarmente, un secondo saltuariamente e un terzo è disoccupato che si fa? Si cerca di dividere quel lavoro fra tutti e tre. Gli piaceva lo stile di La Malfa: il rispetto che aveva degli avversari, il suo cercar di capire il punto di vista degli altri, il suo saper comprendere il dramma della povertà perché l’aveva sperimentata sulla propria pelle. Diceva che l’Italia era di tutti, preferiva la verità al consenso facile, si faceva guidare dell’etica della responsabilità, si considerava un cittadino dell’Europa. Il mondo del lavoro deve molto a La Malfa. Paolo Soddu (università di Torino, esperto degli scritti di questo grande personaggio) ha riferito che la Malfa da sempre ha solidarizzato coi lavoratori “anche se – diceva – non ho mai tenuto in mano una zappa”. La sua linea politica non fu mai quella di una “forza moderata” ma sempre quella di una “forza di propulsione”. Proponeva e propugnava le politiche che la sinistra americana aveva elaborato e riteneva che la lotta di classe dovesse sfociare nello sviluppo. Già durante la Costituente aveva pensato ad un partito dei lavoratori e in economia puntava perché si privilegiassero i consumi collettivi invece che quelli individuali.
La sua sfida politica fu quella di una sinistra capace di dare orientamento all’Italia, le sue idee spiegate nella famosa Nota aggiuntiva: una politica dei redditi, una sinistra consapevole del proprio ruolo, un sindacato che supe
rasse ideologie e corporativismi, una classe operaia protagonista. Anche il magistrato e docente di diritto costituzionale (e segretario della Presidenza del Consiglio durante il governo Spadolini) Andrea Manzella ha voluto sottolineare come fin dalla Costituente Ugo La Malfa avesse sempre battagliato perché la politica dei redditi diventasse un punto focale dei vari governi e il sindacato ne costituirne l’elemento dinamico; e tuttavia la sua visione generale dell’economia del Paese, non ha trovato conclusione. Altro tema che stava a cuore a La Malfa quello del primato dei diritti, da rinnovarsi attraverso una continua mediazione. La politica dei redditi la concepiva come partecipazione, come un disegno del futuro. Insomma Ugo La Malfa fu un protagonista del suo tempo e nel suo programma associava le parti sociali con ruoli attivi nell’indirizzo del Paese. Altri governanti dopo di lui posero a base delle proprie politiche la sua impostazione programmatica della politica dei redditi – Giovanni Spadolini, Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi – perché la considerarono uno “strumento indispensabile”. L’ultimo oratore, il Segretario Generale della Confederazione europea dei sindacati Luca Visentini, ha tracciato un quadro dell’attività in atto nella Ces per una nuova programmazione dopo l’esito delle elezioni europee del maggio scorso. In pratica, ha detto, i temi che si devono affrontare sono ancora quelli che trattava La Malfa: la crescita, il rilancio degli investimenti, l’abbattimento della disoccupazione, il trasferimento della ricchezza, lo sviluppo industriale. Per tutti questi problemi bisogna stabilire delle regole sempre con l’occhio attento ai giovani, agli ultimi, agli outsiders. Non si tratta di compensarli ma di associarli.
La linea del sindacato deve essere quella di concertare, di tenere sempre aperto il dialogo sociale. È lo stesso ruolo cui pensava La Malfa quando tracciava le linee della politica dei redditi. Ecco come la sua teoria diventa il tema di oggi, ecco come il sindacato dei cittadini può riuscire a smuovere la politica. Ha chiuso la sequela degli interventi il Segretario Generale Uil Carmelo Barbagallo: è necessario, ha detto, recuperare le nostre radici storiche, è necessario tornare alla lezione di La Malfa le cui politiche, però, non ebbero molto successo. È necessario ridare potere a chi lavora; i lavoratori ci seguiranno in questa direzione, infatti non ci rimproverano se sbagliamo una battaglia ma se non osiamo farla. Ha aggiunto di aver ammirato il rigore morale dell’esponente repubblicano che non aveva timore di bacchettare gli atteggiamenti errati o spregiudicati. Barbagallo ha quindi preso lo spunto dai temi affrontati in questa giornata di riflessione su La Malfa per fare il punto della situazione di fronte al governo di oggi. Peccato che Raffaele Vanni, per motivi di salute, non abbia potuto essere presente: avrebbe saputo dire cose interessanti sul periodo in cui aveva diretto la Uil come Segretario Generale in rapporto con La Malfa e il suo insegnamento.