Convergenze e divergenze tra storia e cronaca
SETTEMBRE 2019
Il Ricordo
Convergenze e divergenze tra storia e cronaca
di   Giorgio Benvenuto

 

La CGIL viene ricostituita dai partiti che fanno parte del Comitato di Liberazione Nazionale il 4 giugno 1944. Conducono le trattative: Bruno Buozzi, per la corrente socialista, Giuseppe Di Vittorio per la corrente comunista, Achille Grandi per la corrente democristiana. La CGIL si rafforza alla fine della guerra, con la liberazione del nord dai nazifascisti. Dei fondatori rimane solo Di Vittorio. Bruno Buozzi è assassinato nel 1944, Achille Grandi muore nel 1946 ed è sostituito da Giulio Pastore. Gli equilibri politici sono precari. Rendono vulnerabile la CGIL. I comunisti ed i socialisti vogliono superare la pariteticità che caratterizza la distribuzione degli incarichi, dal vertice alla periferia. Giuseppe Saragat esce dal Partito socialista l’11 gennaio 1947, costituendo il Psli (Partito socialista lavoratori italiani). Si indebolisce il PSI che nelle elezioni del 1946 per la Costituente aveva superato i comunisti. Il 31 maggio 1947 Alcide De Gasperi estromette dal governo i partiti di sinistra. A giugno si svolge a Firenze il congresso nazionale della CGIL. La polemica è aspra soprattutto tra socialcomunisti e democristiani. Non si discute sulle strategie sindacali ma sulle matrici ideologiche e sulla politica internazionale.

 

Miracolosamente viene raggiunto un accordo di convivenza (“modus vivendi”) tra le correnti definendo particolari procedure e specifici criteri con maggioranze qualificate per promuovere gli scioperi politici. Si supera negli organismi la pariteticità: Giuseppe Di Vittorio diventa Segretario Generale unico della CGIL. Nel congresso nazionale su un totale di quattro milioni e mezzo di votanti (gli iscritti sono 5.775.000) si contano i voti: 2.612.727 comunisti; 1.037.886 socialisti; 611.302 democristiani; 98.064 socialdemocratici; 92.175 repubblicani; 36.166 indipendenti; 22.450 azionisti; 5.800 anarchici; 19.352 appartenenti ad altri gruppi minori. La convivenza all’interno della CGIL per le correnti cristiane e laiche diventa difficile; è aggravata dagli atteggiamenti delle due maggiori correnti: i comunisti e i socialisti utilizzano la loro maggioranza per schiacciare gli oppositori. Il 14 luglio 1948 in occasione dell’attentato di Antonio Pallante a Palmiro Togliatti i socialdemocratici proclamano lo sciopero generale contro il Governo. I democristiani escono dalla CGIL e costituiscono con Giulio Pastore la Libera CGIL. I repubblicani ed i socialdemocratici non partecipano alla scissione.

 

È però sempre più difficile per loro la convivenza con socialisti e comunisti. Il 17 maggio 1949 a Molinella i sindacalisti socialdemocratici ottengono la maggioranza nella locale Camera del Lavoro. I comunisti reagiscono rabbiosamente. Scoppiano incidenti. Muore una donna. Ci sono molti feriti. Il 4 giugno 1949, i socialdemocratici del Psli e i repubblicani che hanno indetto un referendum tra i propri iscritti, costituiscono la Fil (Federazione italiana del lavoro). Sono eletti segretari generali Giovanni Canini (Psli) ed Enrico Parri (Pri). La vita della FIL è brevissima. Meno di un anno. Il Governo De Gasperi spinge per la creazione di un unico sindacato democratico. Analoghe pressioni vengono dai sindacati americani, francesi, inglesi e tedeschi. Sono diffidenti e poi via via ostili i sindacalisti repubblicani. Smentiscono i loro leader che, dopo un viaggio in America, sono per la fusione tra FIL e LCGIL. I lavoratori che si richiamano ai valori del laicismo mazziniano dietro la spinta del PRI, costituiscono i GAS (Gruppi di Azione Sociale).

 

Sono strutture agili presenti sui posti di lavoro (aziende agricole, metalmeccaniche o uffici statali). Sono aperti a tutti. Sanno mantenere una certa autonomia di giudizio e diventano il punto di convergenza politica e sindacale di tutti quei lavoratori che non si identificano nei dogmatismi marxisti e clericali. Il congresso nazionale della FIL fallisce; in prevalenza i socialdemocratici vanno con i democristiani; i sindacalisti repubblicani si dichiarano invece autonomi. Giulio Pastore nel promuovere la fusione nella CISL della LCGIL e dalla FIL si muove con molta abilità. Ottiene che la CISL, per statuto, si definisca aconfessionale. Evita l’etichetta di sindacato cristiano (per la quale si battono, da posizioni molto minoritarie Giuseppe Rapelli a Carlo Donat Cattin). Spera di acquisire le componenti laiche minori, giudicate troppo piccole per poter dare vita, da sole, ad una terza confederazione laica. Non ci riesce. I laici rifiutano l’egemonia democristiana. Scrive Franco Simoncini: “La breve storia della FIL fu travagliata dai dissensi e dal disagio provocato dal modo brutale ed autoritario con cui il repubblicano Parri ed il socialdemocratico Canini la condussero all’approdo, perdendo lungo la rotta buona parte dell’equipaggio”. È in quel contesto che risalta l’azione di Raffaele Vanni. Studente liceale al “Giulio Cesare” di Roma e poi studente universitario alla “Sapienza” milita nella Federazione Giovanile Repubblicana.

 

Si appassiona al sindacato. Nel 1946 è eletto a soli diciotto anni segretario generale della commissione giovanile della Cgil. Opera nella CGIL (1946-1949) e poi nella FIL (1949-1950). Riesce a legare con i sindacalisti repubblicani storici: Ferruccio Bigi, Amedeo Sommovigo, Umberto Pagani. È instancabile. È particolarmente attivo nel PRI. Il 30 novembre 1949 il Consiglio Nazionale del PRI approva un documento con il quale i lavoratori repubblicani vengono invitati a respingere la fusione della FIL con la Cgil. Vanni, assieme a Giulio Polotti, ad Aride Rossi, a Giovanni Gatti, è sospeso da Canini da ogni incarico all’interno della FIL. Fallisce il Congresso della FIL a Napoli. Ricorda Franco Simoncini che “il congresso si svolse in un’atmosfera d’intolleranza, senza la partecipazione delle 25 camere sindacali provinciali che si erano dichiarate autonome e in assenza della maggior parte dei dissidenti dell’area laico e socialista”. All’inizio del 1950 si verifica la convergenza tra i repubblicani che respingono il progetto di fusione con la LCGIL, una minoranza di sindacalisti socialdemocratici (Bruno Corti, Giuseppe Bacci, Franco Novaretti), i sindacalisti socialisti che escono dal PSI con Giuseppe Romita (Arturo Chiari, Enzo Dalla Chiesa, Italo Viglianesi) ed i sindacalisti autonomisti di Luigi Fontanelli (Ruggero Ravenna, Camillo Benevento, Aldo Florio). Raffaele Vanni è uno dei principali organizzatori del convegno costitutivo della UIL a Roma il 5 marzo 1950. Si lascia impregiudicato il problema della dirigenza. È eletto un comitato direttivo di 46 membri che, a sua volta, nomina un direttivo di nove.

 

Tra questi ci sono Amedeo Sommovigo, Enzo Dalla Chiesa, Renato Bulleri, Raffaele Vanni. Rimangono fuori Luigi Carmagnola, Franco Simoncini, Italo Viglianesi, perché impegnati in incarichi di rilievo nel PSDI, nel PRI e nel PSU. Nel marzo del 1951, ad un anno dalla nascita, la UIL si dà un direttivo ed un comitato di segreteria formato da nove persone. Viglianesi diviene coordinatore di tale comitato; di fatto la carica equivale a quella di segretario generale. La componente repubblicana e Raffaele Vanni si schierano con Viglianesi. Inizia e si consolida un rapporto costruttivo e collaborativo tra Vanni e Viglianesi. Si basa su di una divisione dei compiti. Viglianesi rafforza la sua leadership, entra nel PSDI, prende in mano, l’attività organizzativa ed internazionale della UIL. Vanni rimane segretario confederale, lascia il settore dell’organizzazione ed assume la responsabilità della politica contrattuale. Ottiene importanti risultati prima con la stipula di accordi interconfederali unitari (1950: licenziamenti individuali e collettivi, 1953: commissioni interne), poi con l’accordo sul conglobamento nel 1954, siglato con la sola CISL. Il rapporto collaborativo tra Vanni e Viglianesi si consolida nel Congresso della UIL dell’8 dicembre 1953 e consente nel 1955 di sventare il tentativo del PSDI di dare la scalata alla UIL. In una drammatica riunione i repubblicani sono decisivi per far fallire la congiura dei socialdemocratici saragattiani contro Viglianesi. Bruno Corti, Antonio Cariglia e Giuseppe Bacci sono defenestrati dalla segreteria.

 

Sono anni di crescenti successi per la UIL. Viene istituito il patronato (l’ITAL). Viene accolta l’adesione della Confederazione alla ICFTU, l’Internazionale dei sindacati liberi. Cresce l’organizzazione. Aumentano gli iscritti. Si incrementano i voti nelle elezioni di Commissione Interna. La sconfitta della FIOM-CGIL alla FIAT di Torino con la vittoria delle liste della UIL, determina la svolta decisiva. La UIL supera la fase più drammatica della sua esistenza; le interferenze dei sindacati americani per promuovere l’unificazione con la CISL si affievoliscono; si creano le condizioni per una serie di crescenti adesioni alla UIL. Rientrano i socialdemocratici che erano andati nella CISL nel 1950. Aderiscono alla Uil con Anselmo Martoni e Gino Gabusi a Molinella e a Bologna; entra Ermido Santi a Genova. Passano alla UIL molti dirigenti socialisti di rilievo della CGIL. La UIL investe molto in quella direzione. Il periodo che va dal 1958 al 1964 (dal terzo al quarto congresso confederale) vede la collaborazione tra repubblicani e socialdemocratici con l’appoggio dei rispettivi partiti. L’accoppiata Viglianesi-Vanni funziona. Viglianesi al congresso di Firenze del 1958 diventa a tutti gli effetti Segretario Generale. Vanni diviene il leader indiscusso della corrente repubblicana, dove militano dirigenti di grande rilievo, come Aride Rossi, Franco Simoncini, Paolo Tisselli, Giovanni Gatti

 

La UIL si caratterizza come il sindacato che sostiene la politica di programmazione. La “entente cordiale” tra repubblicani e socialdemocratici si incrina negli anni ’60. Il Congresso Confederale della UIL a Montecatini nel 1964 ridimensiona il ruolo e la presenza dei repubblicani. Molti autorevoli dirigenti repubblicani passano al PSDI. Tra questi Giuseppe Raffo, Sergio Serena, Giulio Polotti, Ernesto Cornelli, Franco Simoncini. Divergono le strategie. Viglianesi si batte per l’unificazione socialista e teorizza la tesi del “sindacato socialista”. L’unificazione socialista nel 1966 fa cadere il principio statutario del vecchio PSI, secondo il quale chi era iscritto a quel partito doveva essere obbligatoriamente tesserato alla CGIL. La caduta di quella preclusione statutaria dischiude ampie possibilità di sviluppo alla UIL che rafforza e rinnova il proprio patrimonio organizzativo attingendo a piene mani ai movimenti giovanili che nella seconda metà degli anni sessanta irrompono nello scenario politico sindacale. Vanni reagisce alle crescenti difficoltà poste dalla evoluzione del centrosinistra. Organizza come leader della componente repubblicana, al Teatro Belli di Roma, nel 1966 una convention aperta anche alla Cisl, alla Cgil e alle Acli nella quale propone di arrivare all’unità sindacale, affermando la necessità di una rigida autonomia dai partiti politici. È un momento importante per i sindacalisti repubblicani che riescono ad essere al centro del dibattito, si rafforzano nella UIL con l’immissione di molti quadri provenienti dalla federazione giovanile repubblicana (Giampiero Batoni, Piero Serra, Pino Querenghi, Mario Locatelli, Nino Gasparro) costruiscono solidi rapporti con la sinistra, nella CISL, nella CGIL, nelle ACLI. Sono favoriti anche dall’azione politica di Ugo La Malfa, che deluso dall’unificazione socialista e dalla crisi del centrosinistra, spinge verso soluzioni politiche più avanzate.

 

Raffaele Vanni favorisce il ricambio dei gruppi dirigenti nella UIL ed è determinante al Congresso di Venezia della UILM per consentire a Giorgio Benvenuto di mettere in minoranza Bruno Corti. Si profila nella UIL che è impegnata nello svolgimento del V Congresso Nazionale una alleanza tra Vanni, Ruggero Ravenna e Giorgio Benvenuto sui temi dell’unità sindacale, dell’autonomia, della incompatibilità tra incarichi sindacali ed incarichi politici. Tutto cambia con la nuova scissione del PSI. Cambiano gli equilibri all’interno della UIL. Viglianesi rimane nel PSI, ma è in minoranza. Nel Comitato Centrale i socialdemocratici capeggiati da Lino Ravecca sono in maggioranza con i repubblicani. Si raggiunge nel luglio del 1969 un faticoso compromesso per la gestione dell’imminente congresso confederale. Viglianesi annuncia che non si ricandiderà, entrano tre socialdemocratici nella segreteria confederale (Giuliano Sommi, Raffaele Bonino, Alfredo Giampietro). A Chianciano il congresso si chiude con i socialisti al 49%, i repubblicani al 27%, i socialdemocratici al 24%. La scissione della UIL viene evitata per un soffio; si modifica lo statuto per consentire di passare nella elezione degli organi direttivi, dal metodo maggioritario a quello proporzionale. Vengono stabilite le incompatibilità. Viglianesi è nominato presidente del Comitato Centrale.

 

Viene eletta una segreteria generale, la cosiddetta troika composta da Lino Ravecca, socialdemocratico; Ruggero Ravenna, socialista; Raffaele Vanni, repubblicano. Vanni si schiera con i socialdemocratici. Afferma: “Se qualcuno li vuole mettere al muro, sarò anch’io là con loro”. Si apre una stagione densa di cambiamenti per il sindacato per la possente spinta delle lotte contrattuali dell’autunno caldo. I socialisti conquistano la maggioranza nel Comitato Centrale della UIL (39 a 36), ma per poco tempo. La spinta verso l’unità dei metalmeccanici disarticola la componente socialista, favorisce l’azione mediatrice di Vanni per mantenere i socialdemocratici nella UIL. Gli avvenimenti precipitano. Alla fine del 1970 Benvenuto è deferito ai probiviri, nel luglio del 1971 la UILM è addirittura considerata fuori dalla Confederazione. Vanni resiste alle spinte più estreme dei socialdemocratici; si muove con molta abilità (i repubblicani sono con i socialisti nei metalmeccanici; sono invece con i socialdemocratici nelle altre strutture) e con la collaborazione di Giulio Polotti si rende protagonista del “patto associativo”.

 

Vanni diventa così Segretario Generale unico; Benvenuto, che si è rafforzato nei metalmeccanici conquistando quasi tutti i sindacati provinciali guidati dai socialdemocratici rientra nella UIL; i socialisti rientrano nella maggioranza. Ravenna lascia la leadership della componente a Luciano Rufino. Il 1972 vede una improvvisa accelerazione del processo unitario tra le Confederazioni che in tre successive riunioni (Firenze 1, Firenze 2, Firenze 3) superano apparentemente tutte le divergenze e predispongono per l’inizio del 1973 la costituzione del nuovo sindacato unitario. La accelerazione del processo unitario fa esplodere molte e drammatiche contraddizioni nella UIL, nella CISL e nella CGIL; crea molte preoccupazioni nella DC e nel PCI. Vanni si trova in grande difficoltà. Il suo rapporto con i socialdemocratici si incrina. È costretto a sconfessare la UILMD, un’organizzazione scissionista dalla UILM costituita dai dirigenti metalmeccanici socialdemocratici. Il Paese scivola a destra. Giovanni Leone diviene Presidente della Repubblica con i voti determinanti dei neofascisti del Msi (Movimento sociale italiano). Il Governo di centrosinistra di Emilio Colombo si dimette. Si va alle elezioni politiche del 7 maggio 1972.

 

Vince il centrodestra. Il nuovo Governo presieduto da Giulio Andreotti chiude ai socialisti ed apre ai liberali. In questo nuovo contesto politico Vanni svolge un ruolo decisivo. In una intervista rilasciata all’Europeo il leader della UIL sostiene che le verifiche dell’autonomia sindacale realizzate dopo l’assemblea di Firenze sono negative ed afferma che l’unità sindacale, nei tempi decisi dai Consigli Generali delle tre Confederazioni, è impossibile. In realtà la sortita di Vanni è abilmente costruita. I metalmeccanici ed i socialisti si trovano spiazzati. Il PCI, la DC, la maggioranza comunista della CGIL, la CISL, persino una parte dei socialisti della UIL, esaurita la fase della indignazione, propongono la costituzione di una Federazione paritetica tra CGIL, CISL e UIL al posto dell’unità. Il 7 luglio 1972 si costituisce la federazione CGIL CISL UIL con una segreteria generale composta da Luciano Lama, Bruno Storti e Raffaele Vanni. Si astengono i socialisti della CGIL ed i rappresentanti dei metalmeccanici della UILM e della FIM. Nei quattro anni successivi Vanni adotta la strategia del pendolo per conservare la segreteria. È incalzato dai metalmeccanici della Uilm. È bloccato dalle resistenze dei socialdemocratici. Riesce a mantenere unita la UIL; affossa il tentativo di Vito Scalia di costituire con la scissione della CISL un sindacato democratico, anticomunista, antiunitario.

 

Appoggia Bruno Storti, Luigi Macario e Pierre Carniti che incalzano la minoranza della CISL, arrivando ad espellere Vito Scalia. Ha il merito di schierare la UIL sul fronte dei diritti civili per opporsi al referendum abrogativo del divorzio. Vanni, in difficoltà sugli argomenti di strategia sindacale, sui quali è complicata la mediazione tra i socialisti ed i socialdemocratici, riscopre i valori della tradizione laica della UIL. La sensibilità di Vanni sul problema dei diritti civili conferma da una parte la vocazione europea della Uil e costituisce dall’altra un primo indizio della intuizione che nella seconda metà degli anni ottanta la porterà ad ampliare le sue iniziative nella società con la proposta del Sindacato dei Cittadini. Vanni raggiunge il punto di massima vicinanza con i socialisti al convegno delle strutture di base della UIL (Firenze, novembre 1973); è costretto a dimettersi per l’alleanza tra socialdemocratici ed una parte dei socialisti su di una linea di regressione unitaria. Supera l’impasse con l’aiuto determinante della Uilm e di Ruggero Ravenna. L’unità sindacale nel frattempo cessa di essere un obiettivo concreto, diventa un generico auspicio non vincolante. Vanni può quindi alternare promesse di consenso e minacce di rifiuto. La corrente socialista della UIL non riesce a contrastarlo perché è soggetta a periodiche divisioni. Tutto cambia nel 1976, dopo le elezioni politiche che aprono la strada al compromesso storico. I socialisti eleggono Bettino Craxi al posto di Francesco De Martino, Pier Luigi Romita diventa segretario del PSDI.

 

La UIL si sente schiacciata dal compromesso storico. I socialdemocratici ed socialisti reagiscono alla morsa del compromesso storico e si pongono il problema della sopravvivenza. Il compromesso storico rischia di cancellare la UIL. Si profila così un cambio delle alleanze: i socialdemocratici con Bruno Corti e Lino Ravecca propongono un cambiamento degli assetti della UIL ai socialisti. I socialisti ritrovano la loro unità. Ruggero Ravenna, Franco Simoncini, Olinto Torda, Gino Manfron e Camillo Benevento fanno un passo indietro e favoriscono il ricambio generazionale con Giorgio Benvenuto. Luciano Rufino, diventato nel frattempo senatore, è della partita. Il 1 ottobre del 1976 Giorgio Benvenuto diviene segretario generale. Vanni accetta la sconfitta, si dimette appena verifica che la maggioranza è cambiata, non richiede il voto segreto per la elezione del nuovo segretario. Vanni ed i repubblicani vanno in minoranza. Non ci sono prospettive. La UIL macina consensi e non lascia spazi né a destra né a sinistra. Si apre ai giovani ed ai movimenti. È protagonista di battaglie sui diritti civili e di cittadinanza. È determinata. È una fonte di idee, di proposte di iniziative. La UIL si caratterizza con una forte identità nel dibattito unitario. Assume e propone di passare dall’antagonismo al protagonismo, di partecipare per cambiare. La UIL ora è in grado di far cadere alcuni tabù. Gli incontri triangolari, la politica dei redditi, la partecipazione alle politiche aziendali, l’attenzione ai problemi fiscali, il cambiamento della pubblica amministrazione sono tra gli obiettivi che la UIL propone ed impone nel dibattito unitario.

 

Nel 1979 Giorgio Benvenuto appoggia il tentativo non riuscito di Ugo La Malfa di formare il Governo. Al congresso di Roma nel 1981 la UIL sostiene la candidatura di Giovanni Spadolini a Presidente del Consiglio. L’operazione riesce. Spadolini è il primo Presidente laico. La UIL sostiene per due anni l’azione riformatrice del governo diretto dai repubblicani aprendo la strada alla realizzazione della politica dei redditi, alla valorizzazione delle professionalità al controllo dei meccanismi di indicizzazione per ridurre l’inflazione. Si apre così la strada all’accordo Scotti nel 1983 ed all’accordo di San Valentino nel 1984. Vanni cerca nel 1976 di realizzare una forte opposizione ai socialisti e ai socialdemocratici. È isolato. Non ha più alleati nella CISL e nella CGIL. Ha problemi nella sua componente. Pensa di fare un passo indietro. Lascia dopo vent’anni la Confederazione e viene nominato Presidente del Comitato Economico e Sociale. Svolge l’incarico con grande abilità ed intelligenza. Esaurito il mandato ritorna alla UIL. Vanni chiede ed ottiene di dirigere la Unione Italiana Lavoratori del Commercio e delle Attività Terziarie. La categoria raggiunge sotto la sua segreteria generale importanti risultati politici ed organizzativi.

 

I repubblicani all’opposizione nel congresso di Bologna del 1977 si astengono al congresso di Roma del 1981, entrano nella maggioranza col congresso di Firenze (quello del “Sindacato dei Cittadini”) nel 1985. Vanni a conclusione del congresso confederale propone la conferma di Giorgio Benvenuto alla carica di segretario generale. Si ricompone così l’unità della UIL che si consolida negli anni ’80. Vanni si impegna a rafforzare la UIL, dà la sua solidarietà nella drammatica vicenda di Luigi Scricciolo, si batte e combatte per la valorizzazione dell’accordo di San Valentino; è un punto di riferimento negli anni bui della fine della prima repubblica; partecipa alla elaborazione degli accordi sulla concertazione e la politica dei redditi con Giuliano Amato, Lamberto Dini e Carlo Azeglio Ciampi. Quando dopo tangentopoli crollano i partiti tradizionali la UIL scioglie le correnti e Vanni indica con successo come suo successore alla UILTuCS Bruno Boco, che non è mai appartenuto alla corrente repubblicana. Raffaele Vanni appartiene alla storia della UIL come Viglianesi, Ravenna, Benevento, Corti, Rossi, Chiari. È stato un protagonista in tante battaglie; ha prodotto idee, emozioni, suggestioni; ha diritto ad essere onorato; la Uil i lavoratori gli debbono molto. È indimenticato. E sarà sempre indimenticabile. Giovanni Spadolini in un convegno sulle origini della Uil ebbe a dire: “come Prampolini, Buozzi era cresciuto in quella terra ferrarese ai confini tra Emilia e Romagna, respirante entrambi i climi un po’ dell’Emilia un po’ della Romagna.

 

Era cresciuto in quella terra segnata dall’avvento delle prime organizzazioni del mondo del lavoro con il concorso determinante, anche se conflittuale di repubblicani e socialisti: questo è un destino, per i socialisti e per i repubblicani, un pò perenne della storia italiana, di essere paralleli alleati e conflittuali”.

 

 

*Presidente Fondazione Bruno Buozzi, già Segretario Generale Uil   

 

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