Quota 100 per il pubblico impiego
FEBBRAIO 2019
Attualità
Quota 100 per il pubblico impiego
di   Sara Tucci

 

Il decreto legge contenente, tra gli altri, il provvedimento più dibattuto e chiacchierato negli ultimi mesi è stato varato dal Governo lo scorso 17 gennaio, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 28 gennaio, è, quindi, entrato in vigore dal giorno successivo. Entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione dovrà essere presentato alle Camere per la conversione in legge, ed infatti proprio in questi giorni al Senato inizia la discussione sul testo dopo che è stato concluso l’iter in Commissione Lavoro. I “rumor” su questo provvedimento sono stati tanti nel corso dei mesi precedenti la sua emanazione, ma è emerso sin dall’inizio che ci sarebbero state differenze, per non dire disparità, tra i pubblici ed i privati dipendenti sul prepensionamento con la cosiddetta “quota 100”. Il provvedimento in oggetto è una misura sperimentale valida per il triennio 2019/2021 che non va, quindi, a sostituire o abrogare la cd. “Legge Fornero”, ma la deroga in questo arco di tempo aggiungendosi alla stessa quale ulteriore forma di pensionamento. I requisiti per potervi accedere sono due: aver raggiunto almeno 62 anni di età anagrafica e 38 minimi di contribuzione. Il requisito anagrafico, viene specificato nel decreto legge 4/2019, non è adeguato agli incrementi della speranza di vita di cui all’articolo 12 del decreto-legge n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 122/2010.Alla predetta prestazione non può accedere il personale appartenente alle Forze armate, il personale delle Forze di Polizia e di Polizia penitenziaria, il personale operativo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco ed il personale della Guardia di finanza. Per i dipendenti privati che alla data 31 dicembre 2018 abbiano raggiunto i requisiti suddetti, la prima finestra di uscita utile sarà il 1° aprile, successivamente saranno attive finestre trimestrali dal momento della maturazione dei requisiti. I dipendenti pubblici, invece, dovranno aspettare più tempo già per l’apertura della prima finestra d’uscita in quanto questa è stata fissata al 1° agosto, creando quindi ovvie disparità con i colleghi del settore privato. Inoltre, da sottolineare, le successive finestre d’uscita fissate trimestralmente per il privato, per i dipendenti della pubblica amministrazione saranno addirittura semestrali e dalla maturazione dei requisiti, dovranno dare avviso di pari durata all’amministrazione di appartenenza. Norma speciale varrà per il personale del comparto scuola ed AFAM a cui continuano ad applicarsi le disposizioni dell’art. 59 comma 9 della legge 449/1997 ed in sede di prima applicazione, entro il 28 febbraio 2019 il personale del suddetto comparto potrà presentare domanda di cessazione dal servizio con effetti dall’inizio dell’anno scolastico o accademico. Rilevanti novità per i lavoratori del pubblico impiego ci sono sul fronte del trattamento di fine servizio o fine rapporto. Anche sotto questo aspetto i dipendenti pubblici non godono dello stesso trattamento riservato per i colleghi del privato, perché se questi dalla data di pensionamento devono aspettare pochi giorni per vedersi erogato il trattamento di fine rapporto, per il pubblico impiego non è così e il decreto legge 4/2019 non fa altro che confermarlo, anzi addirittura ne dilata ancora di piu' i tempi. Ma andiamo per ordine. 
 
Il Decreto Salva Italia del 2011 e la Legge di Stabilità del 2014 stabilirono già lo slittamento del pagamento del TFR nel settore pubblico, prevedendone l’erogazione dopo 24 mesi nel caso in cui il servizio fosse cessato per dimissioni volontarie o in caso di pensionamento anticipato e con tempi ridotti a 12 mesi per chi, invece, avesse raggiunto i requisiti per la pensione di vecchiaia e a 105 giorni nei casi di inabilità o decesso. Ebbene, queste tempistiche già così lunghe per vedersi soddisfatto un proprio diritto dopo una vita lavorativa e trascorsa ad erogare servizi ai cittadini, dal decreto contenente quota 100 sono stati allungati ancor di più. L’art. 23 del d.l. 4/2019 prevede infatti: “(…) conseguono il riconoscimento dell’indennità di fine servizio comunque denominata al momento in cui tale diritto maturerebbe a seguito del raggiungimento dei requisiti di accesso al sistema pensionistico, ai sensi dell’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 29/1/2019 n. 214, tenuto anche conto di quanto disposto dal comma 12 del medesimo articolo relativamente agli adeguamenti dei requisiti pensionistici alla speranza di vita”.
 
In buona sostanza, coloro che andranno in pensione con il meccanismo previsto dal decreto in oggetto, dovranno attendere comunque che maturino i requisiti per la pensione di vecchiaia per vedersi erogato il TFS/TFR. Facendo un esempio pratico colui che va in pensione a 62 anni invece di attendere 24 mesi come finora previsto, dovrà attendere i 67 anni quindi arrivando a ben 5 anni dopo la maturazione del diritto. A questo va aggiunto un ulteriore possibile slittamento a seconda dell’importo del TFS/TFR stesso, poiché viene corrisposto in un’unica soluzione solo se inferiore o pari a 50 mila euro, mentre per gli importi tra i 50 e i 100 mila euro è prevista l’erogazione in due rate e per gli importi al di sopra di questi sono previste addirittura tre rate. Il Governo all’art. 23 comma 2 del decreto legge 4/2019 ha poi previsto un meccanismo di anticipazione del TFS (corrisposto quindi ai dipendenti pubblici assunti entro il 31 dicembre 2000) cercando maldestramente di porre rimedio a questa situazione di disparità su cui tra l’altro, ad aprile dovrà pronunciarsi la Corte Costituzionale. Tale meccanismo prevede che sulla base di apposite certificazioni rilasciate dall’INPS, i soggetti che accedono al trattamento pensionistico secondo la normativa vigente, possono presentare richiesta di finanziamento di una somma definita (per ora) nella misura massima di 30 mila euro, ovvero alla cifra spettante nel caso in cui l’indennità maturata sia di importo inferiore, dell’indennità di fine servizio maturata, alle banche o agli intermediari finanziari che aderiscono a un apposito accordo quadro da stipulare tra il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il Ministro della Pubblica Amministrazione e l’Associazione Bancaria Italiana, sentito l’INPS. Ai fini del rimborso del finanziamento e dei relativi interessi, l’INPS trattiene il relativo importo dall’indennità di fine servizio comunque denominata, fino a concorrenza dello stesso. A questo, il decreto legge ha previsto all’art. 24 la detassazione del TFS in percentuali che vanno dall’1,5% per indennità corrisposte decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, fino al 7,5% per le indennità corrisposte decorsi sessanta mesi o più dalla cessazione del rapporto di lavoro. Con questo meccanismo oltre a cristallizzare e marcare una disparità dei lavoratori pubblici rispetto ai lavoratori del settore privato, si va anche a creare una differenza tra gli stessi pubblici dipendenti in quanto l’agevolazione fiscale per l’anticipo del TFS non è applicabile per coloro che sono stati assunti nella pubblica amministrazione dopo il 31 dicembre del 2000. Ora, si attendono le possibili modifiche che verranno apportate al testo durante il procedimento di conversione in legge. Per ora dalle notizie che emergono non sembra ci siano rilevanti novità se non le dichiarazioni del Governo di voler aumentare l’anticipo del TFS ad una somma di 45 mila euro anziché 30 mila. 
 
 
 
 
 
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