Inserto
Ate griderà allo sterminio e sguinzaglierà i cani della guerra
di Piero Nenci pagina 100
C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico.
Così il poeta che abbiamo imparato a memoria a scuola.
Ma davvero oggi qui, sento un’aria nuova, sento un vento che si sta alzando nel paese e di cui, anche tutte noi oggi qui, siamo parte.
Se pensiamo alla grande consultazione nei luoghi di lavoro fatta attorno alla legge di bilancio; se pensiamo alla grande manifestazione del 9 febbraio; se torniamo a sabato in Piazza a Milano dove c’erano molte bandiere del sindacato, tante donne e uomini del sindacato.
Se pensiamo noi qui oggi, dopo 12 anni, una grande iniziativa nazionale unitaria del sindacato confederale. Un vento che anche noi, nella ricorrenza della giornata internazionale della donna stiamo vivendo. Anche se, diciamocelo chiaramente, non ci stiamo mica inventando nulla, questo è l’antico che torna, anche nella nostra iniziativa di oggi.
L’antico fatto di valori, di coesione, di voglia di mobilitazione, che anche le donne dentro e fuori dal sindacato hanno vissuto e praticato per decenni.
Questa non è che una, delle tanti manifestazioni che quest’oggi il sindacato realizza. Molte compagne ed amiche non sono qui con noi a Roma, ma sono impegnate nelle tante iniziative nel territorio.
Ognuna di voi, donne di tante età, venute da ogni dove, porta un’esperienza personale e allo stesso tempo collettiva, grazie di esserci e di condividerla.
Un grazie anche agli amici e compagni che hanno scelto di essere con noi oggi, perché certo, che esiste una specificità femminile, ma non esiste una separatezza delle donne.
Certo che esistono battaglie delle donne, ma non sono battaglie per escludere ma per includere e per far diventare ogni lavoratore e pensionato ogni lavoratrice e pensionata ogni giovane cittadina e cittadino protagonista di questa stagione: di rinnovata progettualità, ritrovata unitarietà, rinvigorita voglia di cambiamento.
Donne al centro dell’Azione civile e del sindacato. Donne protagoniste del loro futuro,
Donne interpreti di un paese che vuole ritrovare i suoi valori, rialzarsi e progredire.
Che oggi si facesse a Roma una grande iniziativa unitaria ha trovato tutte e tre le Confederazioni d’accordo immediatamente e con entusiasmo, un poco più complesso è stato decidere, tra i tanti possibili, il tema da dibattere in questa giornata ma abbiamo convenuto un tema importante: la contrattazione di genere. Ce ne occupiamo sapendo che i temi non sono soltanto femminili, ma riguardano anche i padri nella genitorialità, i compagni, nella condivisione dei compiti famigliari, i colleghi nei luoghi di lavoro.
Il valore oggi di questa grande iniziativa sindacale unitaria, è rappresentato dal mettere al centro i temi della maternità e della paternità, i temi della condivisione dei compiti famigliari, i temi delle pari opportunità nel lavoro in termini di accesso, di retribuzione e di carriera; il tema dei lavori poveri, discontinui e poco retribuiti, delle magre pensioni che ne sono la conseguenza; il tema del rispetto della persona, di tutte le persone, perché donna lavoratrice vuol dire anche donna immigrata spesso sfruttata; il tema della lotta alla violenza nei luoghi di lavoro, ma anche il contrasto alla cultura del possesso, della violenza nella famiglia e nei luoghi e contesti di vita.
Le donne rappresentano il 50,2% di popolazione nell’età lavorativa dai 16 ai 64 anni.
Con il tasso del 49% di occupazione femminile, abbiamo migliorato, ma siamo ancora lontane dagli obiettivi europei ed il tasso di occupazione maschile è più alto di 19 punti percentuali (68,5%).
Pensiamo anche al tasso di disoccupazione giovanile, oggi, entrare nel mondo del lavoro, se si è donne e giovani, anche se con alti livelli di scolarizzazione, anche se disponibili a tante flessibilità, è ancora troppo difficile. È evidente che qualcosa non va.
Se guardiamo le retribuzioni poi, emerge l’altra grande discriminazione e segregazione.
In ogni fascia di età lavorativa abbiamo salari complessivi, inferiori a quelli colleghi maschi.
Domande: siamo meno formate? No; non riusciamo a raggiungere gli obiettivi che ci vengono assegnati?
No.
Se decidiamo di fare le mamme, diventiamo inaffidabili sul lavoro perché ci assentiamo troppo e siamo troppo emotive.
Se vogliamo realizzarci professionalmente, siamo fuori dagli schemi precostituiti e abdichiamo al nostro ruolo sociale di procreatrici.
Se cerchiamo di conciliare lavoro e famiglia, pretendiamo troppo. Insomma, vada come vada, siamo sempre un problema.
Ma le donne non sono un problema da risolvere, sono anzitutto un’opportunità e una ricchezza: per sé e in sé, per le persone tutte, per lo sviluppo ed il futuro del Paese.
Il fatto è, che il sistema sociale del nostro Paese, è costruito su un modello vecchio ormai superato e che non guarda avanti.
Viviamo ancora in un contesto fortemente incentrato su una netta divisione dei ruoli sociali.
Alcuni lavori sono per le donne, altri sono per gli uomini, alcune responsabilità sono in capo a quelle ed altri a quelli.
La stessa educazione dei bambini è ancora troppo segmentata in cose da maschietti e cose da femminucce.
Anche qui la differenza, maschietti, diminutivo di maschi, femminucce vezzeggiativo di femmine, talvolta usato negativamente anche per ridicolizzare l’emotività.
Quante volte abbiamo sentito dire ad un bambino non fare la femminuccia?
Ma le emozioni non hanno genere, appartengono al genere umano complessivamente.
Il mondo del lavoro è organizzato sulla base di una partecipazione prevalentemente maschile e sul presupposto che i bisogni e il lavoro di cura familiari, siano “coperti” dalle donne. Da questo discendono condizioni che sperimentiamo tutti i giorni, come una cultura del lavoro basata più, sul tempo disponibile, sulla scansione e distribuzione oraria falsamente neutra e su una flessibilità imposta dalle aziende ma non certo “conciliante”.
Nel nostro sistema produttivo si premia ancora la disponibilità di tempo piuttosto che il raggiungimento degli obiettivi nel tempo a disposizione. Questa impostazione inevitabilmente danneggia le donne, sulle cui spalle ricade ancora la stragrande maggioranza del lavoro di cura familiare.
Il problema è il sistema, dunque, non le donne, che sono, però, coloro che ne pagano le conseguenze in maniera più pesante.
È, quindi, necessario un cambio radicale di prospettiva.
È necessario cominciare a declinare il tema della conciliazione tra vita privata e lavoro, non più solo al femminile, perché è un tema che deve riguardare tutti, uomini e donne.
Prima di tutto perché non possiamo più permetterci, economicamente parlando, di sprecare il talento femminile: donne che studiano, che escono dalle facoltà con il massimo dei voti e che non vengono valutate per le loro capacità. Per citare una cifra su tutte, un aumento al 60% dell’occupazione femminile si tradurrebbe in una crescita del PIL, del nostro Paese, di 7 punti percentuali.
Secondo, perché non siamo lo stesso mondo di venti, ma neanche dieci anni fa. Se la genitorialità non è mai stato un evento solo femminile, in questi anni, per la prima volta, non viene neanche percepito come tale dai diretti interessati.
I padri del 2019 vogliono rivendicare il diritto a esercitare questo ruolo, vogliono essere presenti nella vita dei loro figli e contribuire alla loro crescita, non solo con la qualità del tempo che dedicano loro, ma anche con la quantità.
Non è un caso che le aziende più ambite dai giovani siano quelle che offrono flessibilità organizzativa, valutata addirittura più importante di uno stipendio più alto.
Ed è questa la novità in atto su cui dobbiamo agire per cambiare radicalmente le cose.
Fino ad oggi abbiamo ragionato pensando a quali soluzioni mettere sul tavolo, perché le donne potessero lavorare senza rinunciare alla maternità.
In realtà, la situazione che abbiamo avuto davanti andava persino oltre: come fare perché le donne non venissero penalizzate nell’accesso e sul luogo di lavoro, per il solo fatto di essere donne e, dunque, potenzialmente madri, a prescindere dal fatto che lo desiderassero o meno.
Questo modo di guardare, però, implicitamente accetta la visione di una sostanziale incompatibilità tra le donne e il mondo del lavoro, da “risolvere” in qualche modo, trovando dei sistemi o degli strumenti che permettano alle donne di lavorare. Il nostro obiettivo deve essere la realizzazione di un cambio di paradigma.
Se si continua a ragionare pensando che solo le donne, possano ricoprire molteplici ruoli insieme, in modo particolare quello di lavoratrice e quello di genitore e che quindi sia necessario pensare solo per loro, degli strumenti o delle soluzioni che permettano di continuare a lavorare e formare una famiglia, continueremo a trovare soluzioni che, in realtà, contribuiscono a creare segregazione.
Il part-time, quello richiesto non quello imposto, è un esempio su tutti. Pur molto utile nell’immediato, porta inevitabilmente a un impoverimento sostanziale, in ottica di salario e soprattutto di pensioni.
Dobbiamo lavorare, invece, perché la conciliazione venga riconosciuta come ciò che realmente dovrebbe essere, cioè un bisogno che non dovrebbe avere connotazione di genere.
Perché non si debba più pensare di adattare le donne al mercato del lavoro, ma di adattare il mercato del lavoro a esigenze nuove di donne e uomini.
Anche la concezione della maternità sul luogo di lavoro deve cambiare. Attualmente è vista come la perdita di una risorsa per un dato periodo di tempo, invece va valorizzata come periodo di acquisizione di competenze trasversali, che poi possono essere riutilizzate positivamente dalle aziende.
Se la denatalità e l’invecchiamento del paese è un fatto preoccupante per il futuro, la maternità va protetta comunque come funzione sociale.
Allora possiamo dire che non si può lasciare solo alla contrattazione, l’innalzamento della retribuzione del congedo parentale obbligatorio al 100%?
E possiamo anche dire che retribuire al 30% il congedo che si può suddividere tra madre e padre non è comunque sufficiente e sicuramente non fa si che i padri lo prendano? In questa nostra volontà unitaria di incidere realmente, pragmaticamente per raggiungere quella parità effettiva nel mondo del lavoro, che oggi non c’è, abbiamo deciso che lo strumento principale che CGIL, CISL e UIL hanno a disposizione è la contrattazione collettiva.
Quella nazionale, quella territoriale, quella aziendale.
Non mi metto a discutere di ogni singolo passaggio, perché sono temi conosciuti e poi gli interventi ne parleranno, ma vorrei citarne per titoli alcuni: organizzazione del lavoro, turni e flessibilità oraria, banca delle ore per una flessibilità positiva, banca delle ore solidali, sicurezza in ottica di genere, parità retributiva in tutte le sue declinazioni complessive, aspettative per necessità di cura, formazione/aggiornamento al rientro da periodi di congedo, con trasto alle molestie e alla violenza nei luoghi di lavoro, premi di risultato che riconoscano il valore della maternità. Ci sono anche i temi che riguardano la contrattazione con gli enti locali e gli ambiti territoriali: I trasporti pubblici e gli orari della città, l’assistenza socio sanitaria e domiciliare.
Da qui oggi, caro Maurizio, cara Annamaria e caro Carmelo, care tutte e tutti, si esce con un patto.
Non ci sarà più una piattaforma per il rinnovo di un contratto collettivo, che venga predisposta senza che, le politiche di genere siano un aspetto centrale, di pari passo, con le scelte nodali del settore produttivo dell’impresa e del contesto di lavoro.
È innegabile che fino ad oggi, abbiamo fatto molto, tanti i contratti collettivi che già contengono misure, tanti i contratti aziendali che si sono dotati di strumenti e del welfa- re necessario alle famiglie e alle persone, ma con la stagione difficile del Paese che abbiamo davanti, questo tema, deve essere all’inizio della nostra agenda e non tra i tanti.
Se riparte l’Italia, che è l’obiettivo per il quale abbiamo costruito le nostre richieste al Governo e fatto la grande manifestazione del 9 febbraio, deve ripartire una nuova stagione di pari opportunità vere.
Dobbiamo lavorare per formare le compagne ed i compagni che costruiscono assieme alle lavoratrici ed ai lavoratori, le piattaforme di rivendicazione e che poi vanno a trattare con le controparti? Lo si faccia e lo si faccia unitariamente.
Perché l’obiettivo della parità non ha un colore sindacale, oggi più che mai, con questa iniziativa dimostriamo che è uno dei nodali obiettivi unitari.
Dobbiamo però avere ben chiaro che questo è un percorso unitario impegnativo, dove avremo tante al leanze nella società civile, ma anche tante resistenze e opposizioni, ma lo dobbiamo fare per le nostre nonne che si spaccavano la schiena per la fatica dei campi e tiravano su decine di figli, per le nostre madri che sono state le protagoniste del risveglio dell’Italia e delle tante battaglie per i diritti delle donne, lo dobbiamo alle nostre sorelle quelle entusiaste e quelle deluse, quelle che sono al lavoro e quelle che lo vorrebbero essere, lo dobbiamo fare per le gio vani che vivono più pesantemente questa stagione di perdita dei valori.
Lo dobbiamo fare, lasciatemi concludere così, per i bambini e le bambine di oggi e per quelli che arriveranno domani che: “e se è una femmina, si chiamerà futura”.
*Relazione in occasione della Manifestazione unitaria del 8.3.2019