Speciale 8 marzo
We can do it
di N. Siragusa pagina 40
Oggi qui c’è chi conosce la fatica e il rischio di questo mestiere.
Chi avverte forte l’orgoglio di essere stato protagonista della costruzione di questo Paese, e si sente ancora protagonista per il suo reale rilancio.
Un ringraziamento va anche ai numerosi lavoratori degli altri settori, che si sono uniti a noi per testimoniare il bisogno di cambiamento. Un saluto pure alle tante rappresentanze del sistema imprenditoriale, istituzionale e politico, che con la loro presenza testimoniano la condivisione e il sostegno alle nostre proposte. Intorno a questa iniziativa stiamo sentendo forte il consenso e la partecipazione di molte persone che comprendono il merito delle nostre idee. È bene esser subito chiari: noi non siamo in piazza contro il Governo. Noi oggi siamo qui per il futuro del nostro Paese. Vogliamo sollecitare l’attenzione attorno ai temi dei diritti, del lavoro e dello sviluppo. Temi affrontati in modo inadeguato negli ultimi anni. Oggi è una data importante per l’intero movimento sindacale. Questa iniziativa si inserisce nel solco della grande manifestazione Confederale dello scorso 9 febbraio. FENEALUIL, Filca-CISL e Fillea-CGIL hanno deciso di organizzare lo sciopero generale dei lavoratori della filiera delle costruzioni, in un momento in cui l’unità del mondo del lavoro ha trovato nuovo slancio. Pensiamo sia necessario cambiare alcune scelte fatte dalla politica e incoraggiare un confronto.
Abbiamo elaborato una piattaforma di proposte fatta di buon senso, e la mettiamo a disposizione di chi ha l’onore e l’onere di decidere per il Paese. Perché è chiaro che in questi ultimi anni qualcosa non ha funzionato e risulta palese la mancata capacità di affrontare in modo adeguato la crisi che da più di dieci anni sta mordendo il nostro settore. Le prospettive, purtroppo, non ci rassicurano: è ufficiale che l’Italia è ritornata in recessione economica. Ma, badate bene, non è un caso, è semplicemente la conseguenza di anni di politiche e di interventi che non sono andati nella giusta direzione.
Anche nell’ultima manovra finanziaria si punta maggiormente a interventi assistenzialistici che non al reale rilancio dell’occupazione. Non ci hanno entusiasmato neppure le agevolazioni fiscali dedicate alle partite IVA, a cui è stata concessa, di fatto, una tassazione di favore. In questo modo si mette in fuori gioco il lavoro dipendente e l’applicazione dei diritti e delle tutele contenute nella contrattazione collettiva. Così la leva fiscale viene usata per premiare l’evasione e l’elusione. C’è da chiedersi quanti lavoratori dipendenti saranno costretti a trasformarsi in false partite IVA e quanti diritti saranno dispersi.
Da anni denunciamo che in Italia esiste una questione salariale. Non è contemplabile che si rimanga poveri lavorando dodici ore al giorno. C’è qualcosa di profondamente sbagliato nelle normative che regolano il mercato del lavoro e, in questo senso, ormai da anni chiediamo una riforma fiscale che riduca il peso delle tasse sul lavoro. La differenza di uno a tre tra la retribuzione percepita dal lavoratore e quanto pagato dal datore di lavoro non fa altro che favorire l’evasione e il lavoro nero.
Reclamiamo con forza un taglio del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori dipendenti, su cui attualmente grava in modo sproporzionato il peso della pressione fiscale. Questo permetterebbe, in maniera semplice e immediata, l’aumento dei salari netti, a tutto vantaggio della domanda interna e di una società più equa, che premia il valore del lavoro.
Non ci sarebbe bisogno di avventurarsi in insidiose proposte di salario minimo definito per legge, perché nel nostro Paese il salario minimo già esiste ed è quello stabilito dalla contrattazione collettiva.
Basterebbe dare valore legale ai minimi tabellari previsti dai Contratti Nazionali di Lavoro, e prevedere adeguate sanzioni nei confronti di chi non li rispetta. Sono materie complesse, che necessitano di un confronto trasparente con chi il mondo lavorativo lo conosce profondamente.
Siamo convinti che esistano gli spazi per riprendere un reale percorso di sviluppo, capace di redistribuire in modo adeguato la ricchezza prodotta. Per fare ciò il Governo deve prendere coscienza che solo attraverso una vera stagione di confronto con le forze sociali e produttive si potrà fare fronte comune e contrastare i problemi che stanno affossando il futuro dell’Italia.
Bisogna che si avvii una nuova stagione, in cui siano protagonisti i soggetti che conoscono in modo approfondito il settore. La manifestazione odierna si colloca unicamente in questa logica, non è contro qualcuno o qualcosa! Al contrario, è a favore del futuro, della crescita, della ripresa del settore delle costruzioni, per la ripartenza del motore dell’Italia da troppi anni fermo in attesa di revisione.
È possibile che non ci si accorga che questo settore sta scomparendo? I dati degli ultimi dieci anni sono impietosi: 800.000 sono i posti di lavoro bruciati tra edilizia, legno, cemento lapidei e laterizi, e 120.000 le aziende scomparse. Si assiste alla crescita del lavoro irregolare e delle false partite IVA, all’aumento della corruzione e delle infiltrazioni mafiose negli appalti, alla schizofrenia nella realizzazione delle grandi infra strutture.
Non è solo una crisi da penuria di lavoro, mancano politiche industriali e l’assenza di un coordinamento rispetto alle politiche per il settore, che ha prodotto una micidiale ‘crisi da incertezze’ e sta innescando uno spaventoso ‘effetto domino’.
L’Italia è uno dei Paesi con il più alto tasso di risparmio di imprese e famiglie, salendo in questo periodo a livelli altissimi proprio per effetto del clima di incertezza. I risparmi resta no fermi, infruttiferi, sui conti correnti, perché le imprese hanno paura di investire e le famiglie preferiscono rinviare gli acquisti. Occorre una terapia d’urto, ristabilire un clima di fiducia, indispensabile per favorire investimenti e domanda interna ma, prima di tutto, ci vuole una visione d’insieme e, ancora di più, atti concreti.
Il primo passo è ridare il giusto ruolo alla filiera delle costruzioni. Le ricette messe in atto sinora sono state inadeguate, in primo luogo perché, a differenza di altri paesi comunitari, all’economia italiana manca il prezioso apporto del settore delle costruzioni, per mezzo del quale si sarebbe potuto competere alla pari con le maggiori economie europee.
Le politiche messe in campo in questi anni a favore del settore, invece, sono state insufficienti, disarticolate e, in molti casi, sbagliate, nonostante tutta la penisola avrebbe quanto mai bisogno di infrastrutture e di messa in sicurezza del territorio e del patrimonio edilizio.
Stride il fatto che, mentre gli investimenti pubblici in infrastrutture si sono praticamente dimezzati, è continuata a crescere la spesa corrente improduttiva. La mancanza di manutenzione delle strade, la carenza di interventi di messa in sicurezza degli edifici pubblici e del territorio, l’inadeguatezza della rete infrastrutturale, sono la diretta conseguenza di tutti gli investimenti rinunciati. In questo modo la politica ha scelto di non rispondere alle esigenze dei cittadini.
La cosa assurda è che quelle poche risorse destinate agli investimenti non le si riesce a trasformare in cantieri né sembriamo capaci di spendere i tanti miliardi di euro messi a di sposizione dalla Comunità Europea e che tornano, pertanto, al mittente. Poi ce la prendiamo con l’Europa!
Le conseguenze sono la scomparsa di migliaia di piccole e medie imprese, spina dorsale del nostro sistema economico. La crisi sta già aggredendo anche le grandi aziende, vero patrimonio industriale del Paese. Qui, tra di noi, oggi, ci sono molti lavoratori di Astaldi, Condotte, CMC, Toto, Pavimental, Spea, delle cementerie, delle fabbriche del legno e dei laterizi, delle cave, che saluto calorosamente.
Queste grandi realtà sono anche vittime dell’effetto combinato della stretta creditizia e dei mancati pagamenti della pubblica amministrazione. Per di più, mentre i cantieri sono fermi, ogni anno si registrano tante vittime per incuria e scarsa manutenzione del Territorio e delle infrastrutture. Il crollo del Ponte di Genova è il simbolo emblematico di tale situazione. Per queste ragioni oggi i lavoratori del settore delle costruzioni chiedono con forza risposte con crete. Non si può più perdere tempo, perché, molto banalmente, il tempo è finito! E non venissero a domandarci noi dove eravamo!
A sostegno delle nostre richieste da anni ci battiamo con proposte, manifestazioni, scioperi, rivendicazioni e migliaia di assemblee nei posti di lavoro: semplicemente eravamo tra i lavoratori.
Ricordo gli Stati Generali delle costruzioni, organizzati con le associazioni datoriali nel lontano 2009. L’allora Presidente del Consiglio dei Ministri ci disse: «ditemi quello che devo fare e io lo faccio!». Da quel momento ogni governo successivo ha rispettato la tradizione: e cioè ha fatto l’esatto contrario!
Non è un problema di ideologia politica, è che mancano i fatti e una visione strategica complessiva.
Mai come in questo momento difendere e rilanciare il Paese coincide con il difendere e rilanciare il settore delle costruzioni. Oggi più che mai è urgente adeguare la nostra rete infrastrutturale guardando alle connessioni europee e mediterranee, sfruttando al meglio la nostra posizione strategica di collegamento tra il continente asiatico e i mercati occidentali, perché è arcinoto che non disponiamo di un patrimonio infrastrutturale adeguato ai bisogni del nostro sistema economico e produttivo. Così come è un dato di fatto che questo deficit incida negativamente anche sulla qualità della vita dei cittadini e sullo stesso sviluppo sociale. Il vero rischio è che tutto il Paese diventi una grande periferia: il blocco degli investimenti rischia di accrescere il divario economico e produttivo tra nord e sud e con gli altri Paesi europei.
Credo che un caso emblematico di una nazione che non è più in grado di programmare il suo sviluppo sia quello montato intorno alla realizzazione della TAV. Le analisi costi-benefici sicuramente vanno redatte, ma senz’altro prima di iniziare un’opera così complessa. Che senso ha, in un momento in cui si è già nella fase realizzativa, rimettere tutto in discussione e prendere in ostaggio un’infrastruttura strategica come quella per semplici calcoli politici ed elettorali.
Il blocco degli investimenti farà perdere competitività all’Italia, determinando inevitabilmente un peggioramento delle condizioni sociali. In tutto il mondo siamo diventati famosi per le ‘incompiute’: opere progettate, appaltate e cantierate, ma poi abbandonate a sé stesse.
Le problematiche non sono solo legate alle grandi opere ferme al palo. Urge un piano straordinario per la manutenzione delle strade e dei viadotti, e per la messa in sicurezza del territorio dal dissesto idrogeologico. La messa in sicurezza del Paese è un argomento fisso nei dibattiti televisivi, ma finora non si è ancora riusciti a passare dagli slogan ai fatti. E pen sare che ogni euro investito in prevenzione fa risparmiare oltre 4 euro in spese per l’emergenza, la ricostruzione e il risarcimento dei danni.
Ci tengo a esprimere un concetto chiaro: il settore delle costruzioni non è sinonimo di cemento selvaggio, bensì di vera rinascita per il Paese. Esso oggi rappresenta l’efficientamento energetico, la rigenerazione urbana, la valorizzazione dell’enorme patrimonio paesaggistico storico e artistico, e ancora la rinascita dei borghi, da ricostruire e da ripopolare. È per questo che chiediamo l’istituzione di un tavolo per una strategia di rilancio e di riqualificazione del settore all’interno di un’adeguata e lungimirante politica industriale.
Caldeggiamo un ruolo attivo del Governo, delle grandi imprese, delle grandi stazioni appaltanti, dei soggetti finanziari e dei lavoratori del settore, dando struttura alla nostra idea con alcune proposte. Prima di tutto avviare un nuovo piano di investimenti con una cabina di regia unica; completare tutte le opere iniziate; ricucire le distanze tra il nord e il sud; istituire un Fondo nazionale di garanzia creditizia, alimentato da Cassa Depositi e Prestiti, per mettere in condizione le imprese di terminare i cantieri aperti; intervenire sul sistema bancario, per agevolare le imprese che sopportano tempi di pagamento inaccettabili da parte della pubblica amministrazione; rimodulare il sistema degli incentivi fiscali, legati al settore, rendendoli strutturali e legandoli alla regolarità nell’esecuzione dei lavori; rafforzare lo strumento del DURC, evolvendolo alla ‘congruità’ del costo della manodopera sul valore complessivo dell’appalto.
In merito al Codice degli Appalti, favoriamo una revisione che semplifichi le procedure per accelerare l’avvio dei cantieri, senza ridurre, però, le tutele dei lavoratori, ed evitando di facilitare il sub-appalto selvaggio.
Tali proposte sono rivolte sicuramente al Governo e alle forze politiche, ma anche alle Banche e alle Imprese. Il settore delle costruzioni deve tornare a essere motore trainante dell’economia italiana perché le risorse che vi si investono rimangono nella nostra economia e producono altra ricchezza.
In queste settimane sono in discussione numerosi interventi promossi dal Governo, che avranno ripercussioni sul settore e sul mondo del lavoro. In questo senso, accogliamo con favore la convocazione dei Sindacati, concordata per oggi stesso, e dalla quale ci aspettiamo soluzioni concrete ai tanti cantieri bloccati. Conclusi i nostri interventi, in rappresentanza dei lavoratori delle costruzioni, ci recheremo a Palazzo Chigi per promuovere le nostre proposte.
Perciò è necessario dare forza e visibilità alle nostre richieste con questa giornata nazionale di mobilitazione. Oggi siamo in piazza per il rilancio del comparto, ma anche per affermare la necessità di riportare la qualità del lavoro all’interno dei cantieri, delle cave e delle fabbriche. Lavoro che dovrebbe essere il primo pilastro della nostra democrazia. In questi anni, al contrario, è stato degradato e umiliato con interventi legislativi che lo hanno destrutturato e svilito. Sono state approvate leggi che hanno ridotto i diritti dei lavoratori, favorendo frammentazione e precarizzazione e causando enormi disuguaglianze nella nostra società. Solo la contrattazione collettiva è riuscita a tenere in piedi un argine di diritti e tutele per i lavoratori, indispensabile per garantire l’esercizio di una vera democrazia.
È ugualmente chiaro che la qualità del lavoro si misura pure in base al livello di sicurezza esistente nei cantieri e nelle fabbriche. Gli infortuni sono sciaguratamente in aumento: una strage infinita, tragedie intollerabili perché prevedibili. Uomini e donne che una mattina sono andati a lavorare e che non son più tornati a casa. Persone. Con una storia, con una famiglia che li aspettava. Questa battaglia la stiamo perdendo tutti e in modo clamoroso. E nessuno – dico nessuno! si può girare dall’altra parte o sentirsi la coscienza a posto. Le norme ci sono, ma vengono vissute come un orpello, aggirate, assolte solo in modo formale. Bisogna agire su una reale cultura della sicurezza, ma nel contempo rafforzare gli organi ispettivi e garantire la certezza della pena in caso di abusi.
Ognuno ha le sue responsabilità, e qui mi riferisco ad alcuni effetti negativi dell’ultima riforma pensionistica.
I nostri lavoratori sono impegnati in attività realmente pesanti, che logorano il fisico e incidono sulla possibilità di esercitare questo mestiere oltre un certo numero di anni. L’al lungamento dei limiti pensionistici ha abbassato i livelli di sicurezza, in quanto attualmente abbiamo più nonni sulle impalcature che nei parchi a godersi i nipotini. Non si può andare in pensione tutti alla stessa età. Questo settore è caratterizzato da lavorazioni non continuative e che difficilmente consentono di accumulare contributi.
Lo strumento introdotto di quota 100 sicuramente favorisce una serie di casi e va visto con favore, ma la filiera delle costruzioni, purtroppo, non vi si adatta. Questo sistema pensionistico pubblico rimane, quindi, fonte di forti disuguaglianze. La contrattazione collettiva ha dato delle risposte importanti con l’introduzione della sanità integrativa, il rafforzamento della previdenza complementare, l’introduzione di Fondi mutualistici che, da una parte, favoriscono il pensionamento anticipato, e, dall’altra, stimolano l’assunzione di giovani nel settore.
Su tale punto evidenzio i rischi di un fenomeno destinato ad aprire una nuova falla nei diritti e nelle tutele dei lavoratori. All’interno dei cantieri e delle fabbriche non si applica il con tratto rispetto al tipo di attività svolta. Le imprese applicano un qualsiasi contratto purché sia il meno oneroso.
È nostra preoccupazione che tutti i risultati fino ad oggi conseguiti con la contrattazione collettiva di settore non vadano dispersi in questo mare di elusione. È inaccettabile che a lavoratori che operano nello stesso cantiere o nella stessa fabbrica e che svolgono la stessa mansione siano applicati contratti diversi. Non si può rispondere alla crisi con meno diritti e meno contrattazione e, a tale fine, noi chiediamo di accogliere la nostra proposta legislativa denominata “Stesso lavoro, stesso contratto”, elaborata per contrastare ogni forma di dumping contrattuale.
Care lavoratrici, cari lavoratori, avviandomi alle conclusioni, sottolineo come sia necessaria oggi una nuova visione di sviluppo, come siano necessarie vere politiche industriali.
Chiediamo alla politica di riscrivere insieme a noi un nuovo modello di sviluppo. Chiediamo a tutte le nostre controparti di accettare fino in fondo la sfida della qualità, della valorizzazione dell’occupazione stabile, del riconoscimento delle professionalità. Siamo convinti che le nostre proposte sono giuste e al servizio del Paese. Noi chiediamo lavoro di qualità! Noi chiediamo responsabilità al Governo! Noi chiediamo un leale confronto politico. Noi siamo convinti che sia possibile uscire in modo definitivo dalla crisi.
I problemi che abbiamo davanti sono superabili, a condizione che ciascuno faccia interamente la propria parte. Perché il futuro non si aspetta, il futuro si costruisce!
* Segretario Generale Feneal Uil
** In occasione dello sciopero Generale dell’Edilizia 15 marzo 2019