Speciale 8 marzo
Mille volte
di R. Schetter pagina 38
Nel 2017 gli investimenti degli Enti locali hanno toccato il minimo storico. Eppure, l’ammontare delle somme potenzialmente spendibili ha raggiunto i 5,3 mld di euro.
Le Regioni che presentano la più alta percentuale di Comuni con risultato di gestione amministrativa e finanziaria negativa sono l’Abruzzo (5,41%), le Marche (4,23%), il Lazio (4,09%), la Puglia (3,67%) e il Molise (3,13%). Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Sardegna e Umbria sono le Regioni con i Comuni più virtuosi, seguite da Liguria, Lombardia, Piemonte e Veneto. La distribuzione geografica dei dati in valore assoluto non evidenzia, peraltro, una marcata differenziazione tra Nord e Sud del Paese, laddove ciò che fa la differenza è piuttosto la dimensione degli Enti.In generale, nel 2017, in Italia, gli investimenti per gli Enti locali hanno toccato il minimo storico degli ultimi 40 anni, con una contrazione pari al 9,1%.
Sono alcuni dei risultati che emergono dalla ricerca realizzata dall’Eurispes per il Movimento Cinque Stelle “Vincoli di bilancio comunitari e nazionali: l’influenza del Patto di stabilità e crescita sulla finanza delle Regioni e degli Enti locali”, presentata al Parlamento Europeo a Bruxelles, mercoledì 20 marzo. L’obiettivo della ricerca dell’Eurispes è rilevare come i vincoli di bilancio, nazionali e comunitari, sulle risorse finanziarie che gli Enti locali avevano in cassa, abbiano in questi anni “ingessato” la capacità di spesa, anche per gli investimenti, degli Enti stessi. E come il loro “sblocco” possa essere strumento di rilancio dell’economia.
Nei primi due mesi del 2019, grazie alle recenti misure della Legge di Bilancio 2019 che hanno, in parte, liberato gli Enti locali da alcuni vincoli fino ad oggi presenti sull’avanzo di amministrazione, si è registrato un +84,9% di spesa effettiva in conto capitale delle Regioni, rispetto allo stesso periodo del 2018 e un +21,8% dei Comuni, con lo sblocco di appalti e investimenti. La ricerca fornisce un quadro completo dell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale, nazionale e comunitaria, sul tema del Patto di Stabilità e vincoli di bilancio; rileva le disponibilità finanziarie oggi presenti nei bilanci degli Enti locali italiani e, infine, propone alcune soluzioni utili ad accelerare il rilancio degli investimenti.
Il quadro
Durante il Vertice di Dublino del 1996 venne approvato il Patto di stabilità, prevedendo una serie di interventi, volti a garantire la stabilità dell’unione economica e monetaria, per evitare che gli Stati, una volta raggiunti i parametri di Maastricht, non attuassero politiche che li facessero allontanare dagli obiettivi posti. Tuttavia, le numerose difficoltà incontrate dagli Stati europei a rispettare gli obiettivi di disavanzo fissati hanno portato studiosi e politici a criticare il Patto di stabilità e crescita.
Numerosi Paesi hanno del resto superato, in questi ultimi anni, il limite del 3% nel rapporto disavanzo/Pil e, più in generale, i governi nazionali si sono trovati in difficoltà nel gestire la politica economica con i condizionamenti derivanti dai vincoli di Maastricht e dalla politica monetaria della BCE.
Da più parti è stato inoltre evidenziato come il Patto, oltre a mantenere sotto controllo l’andamento delle finanze pubbliche, dovesse anche garantire le potenzialità di crescita e sviluppo, laddove, invece, le regole del Patto sono state considerate spesso un ostacolo alla ripresa economica, soprattutto in fasi di rallentamento ciclico. È stata quindi evidenziata l’esigenza di una maggiore attenzione alla congiuntura economica e alle circostanze specifiche dei singoli Paesi membri, quali, ad esempio, il potenziale di crescita, i cicli economici, gli oneri previdenziali, le riforme compiute e quelle da compiere, e i livelli di indebitamento.
Il risultato
Nel 2017, in Italia, gli investimenti per gli Enti locali hanno toccato il minimo storico degli ultimi 40 anni, con una contrazione pari al 9,1%. E questo accade nonostante il fatto che, effettuando un’analisi quantitativa degli avanzi di amministrazione degli stessi Enti, al fine di evidenziare quale sia l’ammontare delle somme potenzialmente spendibili, emerga un ammontare di avanzi disponibili di oltre 5,3 miliardi.La quota preponderante degli avanzi spendibili dagli Enti locali riguarda il comparto dei Comuni, principalmente della Lombardia e del Lazio. La distribuzione geografica dei dati in valore assoluto non evidenzia, peraltro, una marcata differenziazione tra Nord e Sud del Paese, laddove ciò che fa la differenza è piuttosto la dimensione degli Enti. È plausibile, però, che un grande Comune abbia un avanzo, in valore assoluto, maggiore di un piccolo Ente e questo rende poco significativo il confronto tra Enti di dimensioni finanziarie diverse. L’incidenza degli avanzi rispetto alle riscossioni è invece più indicativa, dato che confronta la posizione relativa degli Enti a parità di entrate incassate, rendendo più significativa l’analisi territoriale. Ed emerge così che la componente di avanzo disponibile e quella destinata a investimenti interessano maggiormente gli Enti di piccole dimensioni.
Con la Legge di bilancio del 2019 si aprono comunque ora nuove possibilità ed opportunità per rilanciare l’economia locale. La Legge di bilancio 2019 consente infatti agli Enti locali di utilizzare parte degli avanzi finora bloccati dalle regole della legge 243/2012 ed interviene anche sul fronte delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo di equilibrio, consentendo di sforare il pareggio senza incappare nelle sanzioni. Nonostante ciò, restano ancora criticità su cui intervenire, soprattutto nel caso di Enti che hanno registrato un disavanzo in fase di riaccertamento straordinario dei residui. E il mancato sblocco dell’avanzo vincolato per l’Ente che si trovi in una condizione di disavanzo complessivo mette in grave difficoltà alcune centinaia di Enti, tra cui diverse grandi città, che si vedono “congelare” risorse in parte già disponibili, in quanto accantonate nel proprio bilancio, risultando fortemente ostacolati nell’azione di rilancio degli investimenti.
Spiega Giovambattista Palumbo, Direttore dell’Osservatorio sulle Politiche Fiscali dell’Eurispes: «Premesso che stiamo parlando del risultato di amministrazione complessivo (totale gestione) e che per dare un quadro più dettagliato, la composizione del risultato di amministrazione andrebbe distinta in avanzo spendibile (dato dalla somma della quota accantonata al netto del fondo crediti e del fondo anticipazioni liquidità), parte vincolata, parte destinata agli investimenti e parte disponibile, se positiva, laddove vi possono essere casi di Comuni con risultato di gestione positivo e che però presentano poi una parte disponibile negativa » limitandosi comunque al dato complessivo suddiviso per Regioni, forse ancora più indicativo in quanto al netto dei vincoli di bilancio, possiamo rilevare i seguenti risultati:
• vi sono Regioni che non presentano Comuni con risultato di gestione negativo: Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Trentino alto Adige, Umbria e Valle d’Aosta;
• vi sono Regioni in cui la percentuale di Comuni con risultato di gestione negativo è del tutto irrisoria (inferiore all’1%): Liguria, Lombardia, Piemonte, Veneto;
• le Regioni che presentano la più alta percentuale di Comuni con risultato di gestione negativo sono l’Abruzzo (5,41%), le Marche (4,23%), il Lazio (4,09%), la Puglia (3,67% e il Molise (3,13%). Tutte le altre presentano percentuali di Comuni con risultato di gestione negativo inferiore al 3%;
• considerato che tutte le Regioni presentano quindi percentuali di Comuni con risultato di gestione positivo (in avanzo) tra il 95% e il 100%, quelle che presentano le più alte percentuali (sopra il 10%) di Comuni con risultato di gestione sopra i 10 milioni di euro sono la Puglia (16,33%), la Sicilia (14,72%), la Campania (14,05%), la Toscana (13,70%) e il Lazio (10,82%).
Le proposte dell’Eurispes
Dopo aver delineato un quadro completo dell’evoluzione della normativa e della giurisprudenza di riferimento, la ricerca Eurispes propone alcune soluzioni, da avanzare sia in sede comunitaria sia in quella nazionale, tra cui:
- scorporare la quota delle spese nazionali per il cofinanziamento di fondi europei dai criteri di deficit e di debito degli Stati membri;
- scomputare la spesa per infrastrutture dal calcolo del deficit ai fini del Patto di stabilità;
- scorporare gli investimenti pubblici dal computo del disavanzo, anche considerato che gli Stati nazionali hanno il dovere di sostenere l’economia e l’occupazione con robuste misure di struttura e non solo anticicliche;
- modificare la procedura utilizzata nella Ue per il calcolo del Pil potenziale e del saldo strutturale;
- aumentare il valore medio del debito fisiologico dal 60% del Pil fino al valore medio attuale del 90%.
In conclusione, il processo di convergenza macroeconomica non può fondarsi esclusivamente su strumenti e poteri che regolano, con gravi limiti, la politica di bilancio e l’equilibrio della moneta. Congelare gli investimenti nei vincoli di bilancio, oltre che errato, appare effettivamente dannoso.
Andrebbe dunque riesaminato l’insieme delle norme che hanno sovrapposto e via via integrato le regole strutturali, a partire dal Six pact, per pervenire ad un nuovo punto di sintesi, che riconosca la necessità di sottrarre al vincolo numerico dell’equilibrio nominale e strutturale un’area di spese per investimenti produttivi.
* LO STUDIO INTEGRABILE È DISPONIBILE, REGISTRANDOSI, AL SEGUENTE LINK https://eurispes.eu/ricerca-rapporto/vincoli-di-bilancio-comunitari-e-nazionali-linfluenza-del-patto-di-stabilita-e-crescita-sulla-finanza-delle-regioni-ed-enti-locali-italiani-2019/