Il biotestamento è legge. Ogni persona è portatrice del diritto irrinunciabile di scegliere della propria vita
GENNAIO 2018
Attualità
Il biotestamento è legge. Ogni persona è portatrice del diritto irrinunciabile di scegliere della propria vita
di   Eliana Giangreco

 

 

Parlare di biotestamento non è mai stato facile, esso porta con sé degli interrogativi laceranti, ai quali prima o poi anche il nostro Paese doveva dare una risposta, permettendo così agli italiani di poter scegliere della propria vita facendo affidamento su una legge chiara che prevede, entro alcuni limiti, il diritto all’interruzione delle terapie e il diritto a decidere per sé nel caso in cui, per l’aggravarsi della patologia, la persona non può più manifestare le proprie volontà.

Si tratta di una conquista importante, un passo avanti atteso, auspicato soprattutto necessario. Per troppi anni si è cercato di riempire il vulnus normativo delegando il tutto all’attività della magistratura che caso per caso ha cercato di rimediare a questa latitanza dello Stato, una latitanza incivile che ha obbligato le persone e le loro famiglie a dover far accendere i riflettori sulle proprie tragedie, creando dei veri e propri casi mediatici: pensiamo ad Eluana Englaro, a Piergiorgio Welby e da ultimo a Dj Fabo; casi che hanno acceso il dibattito sul fine vita, dando voce alla disperazione di chi ogni giorno ha affrontato e continua ad affrontare questa situazione.

Finalmente, dopo anni di trattative, di scontri su cosa fosse giusto o sbagliato, su continui rinvii, anche il nostro Paese si è dotato di una legge sul fine vita, uniformandosi a Paesi dell’Europa come Regno Unito, Austria, Croazia, Spagna, Ungheria, Belgio, Paesi Bassi, Finlandia, Svizzera, Lussemburgo, Portogallo, Germania che, sebbene in maniera variegata, prevedono nelle loro normative nazionali la disciplina del testamento biologico.

Ricordiamo brevemente che l’Italia si muove all’interno non solo dell’articolo 32 della Costituzione in virtù del quale “nessuno può essere obbligato a subire trattamenti sanitari se non per disposizione di legge”, ma anche della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina (1997), che il nostro Paese ha ratificato nel 2001, secondo cui “le volontà espresse da un paziente che, al momento dell’intervento non è in grado di operare una scelta, devono essere tenuti in considerazione”, pertanto il ritardo di una legge in questa materia non è comprensibile, ma purtroppo il nostro Paese ci ha abituati a questa arretratezza, ad esempio ricordiamo che l’Italia è stata una degli ultimi Paesi a maturare un approccio circa l’utilizzo della morfina o della sedazione nella fase terminale della vita.

Nel testo di legge approvato lo scorso 15 dicembre (ddl n° 2801), non si parla di riconoscimento dell’eutanasia o del suicidio assistito, ma si stabilisce un principio importante: ossia nessun trattamento sanitario può essere iniziato, o proseguito, senza il consenso libero e informato della persona interessata (art. 1 comma 1), in tal senso anche il titolo della legge “ Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”.

Viene quindi riconosciuto e garantito normativamente un diritto di cui ogni cittadino è custode, ossia quello all’autodeterminazione, che in tema di fine vita significa libertà di rifiutare tutte quelle cure “salva vita” senza le quali sopraggiungerebbe la morte, superando quella visione del diritto alla vita e alla salute che per troppo tempo sono stati interpretati come obbligo a vivere o obbligo a curarsi.

Le parole chiave per comprendere la nuova legge sono: consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento.

CONSENSO INFORMATO. L’articolo 1 comma 3 recita: “Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile…”.

Il paziente, ancora in grado di poter scegliere in autonomia, può liberamente dare o meno il proprio consenso alle cure consigliate, dopo essere stato correttamente informato dai suoi medici circa il proprio stato di salute, la possibile evoluzione della sua malattia, i trattamenti e le terapie disponibili, quindi a fronte del diritto del paziente corrisponde un preciso dovere di informazione. Il consenso deve essere documentato in forma scritta o comunque attraverso modalità consone alla condizione del paziente, ricordando che può essere revocato in ogni momento. Il rifiuto del trattamento, inoltre, non deve comportare l’abbandono terapeutico, dunque le cure palliative devono essere comunque garantite (art. 2 comma 1).

DISPOSIZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO (DAT). Le disposizioni anticipate di trattamento (DAT), comunemente note come Testamento Biologico, sono un documento con il quale la persona, capace di intendere e di volere, manifesta le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari. Le DAT, rappresentano quindi un’opportunità non soltanto per le persone già affette da patologie, ma soprattutto per le persone sane che, in previsione di una futura situazione per la quale malauguratamente non possano più manifestare il proprio consenso, forniscono delle direttive sulla possibilità o meno di sottoporsi a qualsiasi cura, chiedere di essere assistiti a oltranza oppure rifiutare qualsiasi accertamento o terapia.

Ogni persona può quindi ex ante approvare o rifiutare esplicitamente le cure, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali; queste ultime hanno dato vita a forti scontri in aula, in quanto uno dei punti riconosciuti dalla nuova legge è proprio quello che il paziente in stato terminale potrà richiedere, o lasciar scritto nelle sue DAT, la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione in modo artificiale (ad esempio tramite flebo), insieme alla somministrazione di sedativi, per evitare la sofferenza finale.

L’articolo 4 prevede anche che si possa nominare un fiduciario che prenda al posto proprio le decisioni e che parli con il medico. Da un punto di vista formale il testamento biologico, può essere redatto per iscritto, videoregistrato o compilato attraverso un macchinario per disabili, ciò che si rende necessario è che l’atto venga firmato di fronte ad un pubblico ufficiale (notaio), ad un medico del Servizio Sanitario Nazionale o in uno dei Comuni che hanno provveduto ad istituire l’apposito registro.

Il nuovo testo di legge offre quindi la possibilità ad ogni persona di autodeterminarsi e di poter scegliere da soli o, tramite una persona di fiducia, di proteggere la propria dignità quando purtroppo la vita l’ha messa nella condizione di non poter più manifestare la propria volontà. Di fronte all’impossibilità di guarigione, ogni forma di accanimento terapeutico seppur mossa dalla tenue speranza dei familiari del proprio caro, deve essere rifiutata.

Nessun diritto alla vita può tradursi in un obbligo a vivere; il rispetto della libertà di autodeterminazione e della dignità di ogni persona è fondamento di ogni società civile, democratica e libera.

Anche Seneca, nelle Lettere a Lucilio esprime già nel 65 d.C., nei confronti del fine vita un pensiero di un’attualità disarmante: “ Una vita più lunga non è necessariamente migliore, ma una morte attesa più a lungo è senz’altro peggiore”.

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