Sindacale
Welfare aziendale: luci e ombre
di Tiziana Bocchi pagina 11
Grazie all’accordo del 30 novembre 2016 tra Governo e sindacati si è finalmente arrivati alla firma, dopo quasi dieci anni di blocco, del rinnovo del primo contratto (nel momento in cui si scrive) della Pubblica Amministrazione valido per il triennio 2016/2018. Ebbene, il 23 dicembre è stato firmato il rinnovo contrattuale del nuovo comparto delle Funzioni Centrali riguardante all’incirca 250.000 dipendenti tra Ministeri, Agenzie Fiscali, Enti Pubblici non Economici, etc… La firma è arrivata dopo una trattativa finale serrata ed estenuante di circa tre giorni, grazie alla quale sono stati portati a casa importanti risultati prefissati proprio nell’accordo del 30 novembre 2016.
Ma ricordiamo come si è arrivati a questo rinnovo, dalla situazione di stallo creatasi negli ultimi anni, alla conseguente sentenza della Corte Costituzionale n.178/2015 fino all’accordo che ha permesso il raggiungimento di importanti obiettivi in questo rinnovo contrattuale. La situazione di paralisi contrattuale e quindi, il conseguente congelamento degli stipendi è iniziata nel 2011. Il blocco contrattuale, dacché era previsto temporaneamente per il periodo 2011-2013 al fine di non gravare ancor di più sulla finanza pubblica in un momento di contingenza e crisi economica attraversata dal nostro Paese, è stato poi sistematicamente prorogato anche per il 2014 dal Governo Letta e nel 2015 dal Governo Renzi.
E da qui che nasce la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Roma e dal Tribunale di Ravenna. Invero, la Corte costituzionale si era già pronunciata in due precedenti occasioni sui primi blocchi contrattuali, respingendo in entrambi i casi le censure di illegittimità costituzionale delle misure di contenimento della spesa pubblica e di stabilizzazione finanziaria.
Il giudice delle leggi aveva infatti giustificato il blocco triennale dei CCNL del pubblico impiego con lo scopo di risanare la finanza pubblica ed in quanto lo stesso fosse comunque temporaneo. Diversamente, invece, nella sentenza n.178/2015 la Corte Costituzionale ha stabilito che il rinnovo del blocco per il triennio 2013-2015 fosse incostituzionale in quanto in contrasto con il diritto di libertà sindacale di cui all’art. 39 comma 1 della Costituzione. La legge di stabilità del 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190), prorogando il “blocco negoziale”, aveva infatti “reso strutturali i blocchi contrattuali introdotti con i precedenti provvedimenti legislativi”, provocando così una situazione di illegittimità costituzionale sopravvenuta.
Tuttavia, la Corte per evitare un tracollo dei conti pubblici pari a circa 35 miliardi di euro, salva per il passato: in sostanza, il blocco degli stipendi veniva considerato illegittimo da qual momento e quindi non per gli anni pregressi disponendo che non fosse dovuta, ai dipendenti pubblici, alcuna restituzione. La motivazione data dalla Corte poggiava sul fatto che, secondo l’orientamento già manifestato in passato dai giudici costituzionali, una misura d’urgenza, quale appunto il blocco degli stipendi, poteva essere ammessa solo in quanto la stessa fosse “straordinaria”, ossia non ripetuta con cadenza annuale.
Ed è anche sulla scorta di questa sentenza che Governo e parti sociali nell’ottobre del 2016 durante un incontro presso la Funzione Pubblica presero reciprocamente l’impegno di fissare di li a breve, dei punti focali sui quali chiudere un accordo e dal quale partire sia in sede di atti di indirizzo all’Aran, sia nell’ambito della delega Madia sul nuovo Testo Unico del pubblico impiego. Questo incontro ha portato dopo poco più di un mese alla firma dell’Accor do del 30 novembre. Accordo che è stato considerato dalle OO.SS. innanzitutto, come propedeutico ai rinnovi contrattuali, infatti la UIL a seguito della firma ha continuamente sollecitato il Governo alla preparazione della direttiva da inviare all’ARAN per l’avvio delle trattative.
Il contenuto dell’Accordo è stato fondamentale sia per le modifiche apportate al Testo Unico, ma anche per aver fissato dei punti fermi considerati la base per questa tornata di rinnovi contrattuali, anzi, ancor di più, l’Accordo è stata la chiave di volta per lo avvio stesso di questa stagione contrattuale, in quanto, in mancanza, si sarebbe profilata solo nel 2020.
Nel primo contratto firmato prima di Natale tra Aran e OO.SS. si può affermare che il contenuto dell’Accordo del 30 novembre è stato rispettato. Sono, innanzitutto, state ripristinate le nuove relazioni sindacali così come riformulate nel nuovo T.U., permettendo la partecipazione dei lavoratori nei processi di riforma nelle varie amministrazioni, ai quali era stata negata nel 2009 con la Riforma Brunetta. Di non poco conto inoltre è stato il rispetto degli incrementi contrattuali così come delineati in quell’Accordo, permettendo anche la salvaguardia degli 80 euro del c.d. Bonus Renzi grazie ad una norma inserita nell’ultima legge di Bilancio, che ha fatti sì che gli aumenti contrattuali previsti non andassero a discapito del Bonus stesso.
Tra le altre novità, inoltre, troviamo finalmente la possibilità di poter inserire mediante contrattazione integrativa forme di welfare contrattuale quali ad esempio: iniziative di sostegno al reddito della famiglia come sussidi e rimborsi; contributi a favore di attività culturali; polizze sanitarie integrative delle prestazioni erogate dal servizio sanitario nazionale; supporto all’istruzione e promozione del merito dei figli, cercando in questo modo di avvicinare i dipendenti pubblici con quanto già avviene da tempo nel settore privato, È stata inoltre istituita una apposita Commissione Paritetica al fine di innovare il sistema di classificazione professionale delle amministrazioni confluite nel nuovo comparto delle Funzioni Centrali. Le parti hanno ritenuto di rinviare una discussione così ampia e complessa ad un secondo momento, l fine di non rallentare la sollecita firma del CCNL dopo il lungo periodo di sospensione contrattuale già trascorso.
Sono state poi inserite norme di rilevanza sociale quali il congedo per le donne vittime di violenza previsto ai sensi dell’art.24 del d.lgs. n.80/2015 rivolto alle lavoratrici inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, per un periodo di congedo di 90 giorni lavorativi, da fruire nell’arco temporale di tre anni, decorrenti dalla data di inizio del percorso di protezione certificato. All’art. 49 del nuovo CCNL troviamo inoltre una norma di raccordo per assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dalla legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, quindi si dispone che “le disposizioni di cui al presente CCNL riferite al matrimonio, nonché le medesime disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile”.
Di nuova istituzione sono anche le “ferie e riposi solidali” mediante le quali “su base volontaria ed a titolo gratuito, il dipendente può cedere, in tutto o in parte, ad altro dipendente che abbia esigenza di prestare assistenza a figli minori che necessitino di cure costanti, per particolari condizioni di salute” le ferie eccedenti le quattro settimane di cui il lavoratore deve necessariamente fruire ai sensi dell’art.10 del d.lgs. n.66/2003 e le quattro giornate di riposo per le festività soppresse di cui all’art. 28 dello stesso CCNL.
Il contratto appena firmato ha soddisfatto le aspettative derivanti dalla firma dell’Accordo del 30 novembre 2016 e soprattutto quelle dei lavoratori pubblici martorizzati dalle riforme degli ultimi anni, fa ben sperare per il futuro dei contratti del Pubblico Impiego e getta le basi per una positiva e celere chiusura dei altri comparti della P.A. in fase di trattativa in questi giorni all’ARAN.