Il Fatto
Il Patrimonio culturale, ideale, strategico e propositivo della Uil
di Antonio Foccillo pagina 1
...Si chiamerà futura - 8 Marzo
Il 5 marzo 1950 è nata la Uil ma tengo sempre a precisare che le origini della nostra organizzazione vanno ricercate in fermenti molto più lontani nel passato che ci fanno dire che, in effetti, la Uil ha più di cento anni. Il sindacato nasce, sul finire del ‘800, proprio dalla cultura laica, socialista e libertaria, nei cui valori la Uil ha costruito negli anni un’identità ben distinta da quelle della Cgil e della Cisl. I prodomi del movimento sindacale italiano muovevano i loro primi passi tra le esperienze socialiste, repubblicane e anche anarchiche.
Quel 5 marzo rappresenta una delle tante tappe della storia del nostro sindacato, la cui memoria, però, ognuno di noi dirigenti della Uil, nel celebrare questi 69 anni, abbiamo la grande responsabilità, non solo, di trasmettere ai nuovi quadri, nuovi dirigenti ed ai giovani ma di assicurare un futuro solido a questa lunga – più che centennale - esperienza.
Allo stesso tempo, infatti, si ha l’obbligo morale di proseguire un cammino e un impegno, per rafforzare i contenuti che hanno reso la Uil vincente nel mondo del lavoro: la sua valorialità laica e riformista, il suo essere autonoma, la continua ricerca del pluralismo e soprattutto l’essere soggetto di modernità.
Passano gli anni, cambiano i gruppi dirigenti, ma la proposta ha sempre le stesse caratteristiche: valutare i cambiamenti nella società, nell’economia, nella politica, nel mondo del lavoro con laicità, senza dogmi e con il gusto di confrontarsi, spesso con chi la pensa diversamente, per arricchire la propria cultura.
Il tentativo è di trasferire alle nuove generazioni, la capacità di cambiare le cose, a piccoli passi, sempre ricercando nuove frontiere, senza lasciarsi frenare né dalla conservazione né dal corporativismo ma guardando all’azione sindacale, quale fase di crescita collettiva, sia del mondo del lavoro sia della società, nello spirito di governare il cambiamento per produrre sviluppo, ricchezza da distribuire in modo più adeguato, con l’obiettivo di migliorare le condizioni dei lavoratori.
La Uil mai ha pensato di costringere la persona, a qualsiasi ceto sociale appartenesse, qualsiasi fosse il colore della sua pelle e il credo religioso, a logiche che non fossero rivolte a posizionare proprio la stessa al centro dell’iniziativa e far sì che intorno ad essa stessa girassero le istituzioni, la società, l’economia.
Per questo per costruire il futuro, anche alla luce di quello che sta avvenendo nella politica italiana, non potrà che necessitarsi di ravvivare la ricerca storica delle radici delle grandi organizzazioni di massa della sinistra progressista e dell’evoluzione del movimento sindacale italiano, che negli anni passati hanno contribuito a produrre un tale livello di benessere del Paese e dei cittadini fino a farci diventare la quinta potenza mondiale.
Bisogna sempre ricordare quale grande palestra di emancipazione, partecipazione e evoluzione sociale ed economica è stato il sindacato e la Uil. E, in tal senso, non bisogna dimenticare i sacrifici dei tanti che l’hanno fondato, l’hanno difeso e hanno mantenuto vivo questo grande patrimonio fino ai giorni nostri.
La storia non è solo un ricordo ma è linfa per valori ed ideali che si debbono continuare ad alimentare e riproporre, pena altrimenti l’aridità della passione civile e democratica. Ognuno di noi può farsi interprete del presente e può rappresentare degnamente il futuro, ma lo deve fare ricordandosi del passato e delle proprie radici morali, culturali ed ideali.
Basta leggere i contenuti del primo convegno del 2-3 maggio 1953, quello sulla produttività. I temi sono quelli che hanno poi caratterizzato la Uil in tutto il suo percorso: “Si vuole un’economia in espansione per la conseguente crescita di manodopera; la riqualificazione del personale; l’incremento della produttività attraverso i patti di lavoro e la contrattazione; la distribuzione anche ai lavoratori dei benefici dell’aumentata produttività; la partecipazione”.
Atro filone significativo che fu riproposto nel 1957 è stato quello dell’autonomia e dell’indipendenza del sindacato (principi che erano, tra l’altro, nello statuto del 1950), attraverso un confronto democratico e per la socializzazione dei fini.
Ancora il mezzogiorno, una programmazione economica che garantisse attraverso la partecipazione l’efficienza democratica del sistema; i trasporti; la democratizzazione dell’economia; il fisco; il servizio sanitario nazionale; il progetto Uil per il pubblico impiego; i fenomeni di emarginazione; droga; Aids; lo Statuto dei lavoratori; il regolare i confitti nei servizi pubblici essenziali; l’innovazione tecnologica e il ruolo delle diverse figure professionali: quadri, tecnici e capi; la politica contrattuale; il piano energetico nazionale; il mercato del lavoro e i sistemi formativi; scuola, Università; occupazione; sanità; partecipazione e professionalità; immigrati; pubblico e privato; produttività ed efficienza; problemi della violenza alle donne; sicurezza; turismo; anziani; il ruolo dello Stato nell’economia; igiene e sicurezza; il nuovo rapporto di lavoro nel pubblico impiego; le privatizzazioni; la riforma degli enti previdenziali; lo sport e il tempo libero; fondi pensione e di previdenza integrativa; federalismo e riforma dello Stato; l’Europa delle parti sociali; la giustizia del lavoro; dirigenza e pubblica amministrazione; il valore del lavoro; il sindacato dei cittadini; le Rsu. Queste sono solo alcune delle tante tematiche affrontate dalla Uil in tanti altrettanti anni, senza citare le più recenti che tutti ricordano. Le analisi e le proposte spaziano in tutti i campi e danno, a chi ha volontà di approfondire la storia del nostro Paese, il senso del protagonismo della Uil e del sindacalismo confederale nelle trasformazioni della società, del mondo del lavoro, dell’economia. Queste intuizioni hanno svolto una funzione culturale, emancipatrice, di giustizia sociale, progresso, democrazia e civiltà che hanno profondamente cambiato positivamente l’Italia in tutti questi anni.
Il movimento sindacale è, e resta, nonostante i continui attacchi un protagonista importante della vita politica, economica e sociale dei nostri tempi ed ancora non ha esaurito la sua azione.
Oggi, nel mondo del lavoro, altri soggetti si sono affacciati, e dovranno essere rappresentati, altri soprusi e sfruttamenti convivono, altre necessità di partecipazione e di protagonismo vanno alimentate. Sta a noi coglierle, rappresentarle e soprattutto essere in grado di aprirci alla loro presenza.
La Uil dalla nascita ha sempre cercato di rappresentare il nuovo, non ha mai accettato il conformismo. Per questo è necessario studiare la nostra storia, dando, attraverso di essa, una spiegazione più compiuta alle azioni, lotte, errori e conquiste che hanno caratterizzato questi oltre cento anni di vita. Tutto ciò ci deve portare a rappresentare sempre meglio questa grande famiglia e a spronarci a continuare la battaglia di rinnovamento, laicità e riformismo della società moderna.
Giorgio Galli nel libro “Uil, dalla fondazione agli anni 80”,nell’anniversario della celebrazione dei quarant’anni, nell’analizzare il percorso fino a quel momento della Uil, la definisce: “L’organizzazione che ha aperto una strada che è stata poi percorsa dall’insieme del sindacalismo italiano; e forse, più in generale, dall’insieme della sinistra storica in Italia”. Egli scrive: “Il processo di formazione, anticipazione tematica e intreccio tra dinamica sindacale e dinamica politica sono già all’origine degli orientamenti e delle decisioni che conducono alla fondazione della Uil”.
Infatti, negli anni ‘45-‘50, l’Italia era percorsa da uno scontro ideologico fra massimalisti, riformisti e cattolici che aveva radici profonde non solo nei partiti, ma anche nelle componenti del sindacato. Queste impostazioni individuavano lo sviluppo politico e sociale secondo tre modelli diversi: un primo legato all’ideologia cattolica. Essa rifiuta le posizioni di tipo classista e orienta invece l’azione sindacale, basata sulla mediazione degli interessi diversi, condotta esclusivamente sul terreno economico della società. Ciò rende difficile per questa corrente sindacale l’impegno politico, che così si defila sempre più nell’organizzazione.
Un secondo può considerarsi quello massimalista e riformista che trova sbocco sul terreno politico nella linea socialista e comunista. Questa posizione si estrinsecava in metodi di lotte estremamente radicali, tali da porsi in conflitto con quello della componente revisionista, socialdemocratica e repubblicana. Quest’ultima che pure è vicina a quella socialcomunista per l’accettazione del ruolo anche politico del sindacato, invece, si allontana dal modo di rapportarsi con il sistema politico esistente. Accusa i socialcomunisti di rappresentare gli ideali esterni al nostro Paese e, di conseguenza, risulta in antagonismo al modello occidentale. Mentre per i sindacalisti socialdemocratici e repubblicani il sistema così strutturato va certamente rivisto ma non può essere abbandonato.
Questa diversità porta ad un primo scontro nella Cgil, nel congresso del ‘47, sull’art. 7 dello statuto che definisce il ruolo sindacale non solo sociale ma anche sul terreno politico. Scontro che portò alla definitiva rottura del ‘48.
Fu una divisione profonda per concezioni ideologiche diverse, non solo, fra mondo cattolico e socialista, ma anche all’interno dello stesso movimento socialista e laico.
Questi distinguo molto forti producevano riflessi sullo stesso ruolo del sindacato nella società, proprio per questo era necessario rappresentarli con strutture sindacali idealmente ad essi legati. La decisione della componente comunista nella Cgil di proclamare uno sciopero politico per l’attentato a Togliatti fu lo spunto per sostanziare quelle impostazioni, tanto da creare la spaccatura con la nascita della Fil e, successivamente, per effetto di un’altra scissione, alla nascita della Uil.
Viene fondata così la Uil il 5 marzo del 1950. Essa, già all’atto di nascita, rifiuta sia il radicalismo sindacale della Cgil che l’interclassismo della Cisl, ponendosi quale terzo soggetto fra la tensione rivoluzionaria di cui era portatrice la Cgil e quella solidaristica e tecnicistica della Cisl. Questa strategia non è il frutto di una mediazione fra le due posizioni, ma era la conseguenza del patrimonio ideologico maturato dalle componenti socialdemocratiche e repubblicane del sindacato. La Uil sosteneva, già allora, una concezione di attenzione verso le singole categorie professionali, per questo divenne un’associazione di categorie, ma nello stesso tempo tale postulato era mediato da un’idea politica più complessiva, mirata a salvaguardare le singole situazioni e a tutelare le proposte di politica generale, che tenessero nel giusto conto l’insieme degli interessi del mondo del lavoro ed evitassero possibili azioni di tipo corporativo. Nel concreto, di fronte alla politica di rivendicazioni salariali della Cisl nelle singole realtà aziendali che circoscriveva l’impegno dei lavoratori nella singola fabbrica isolandoli la loro azione dalle problematiche generali, o all’azione della Cgil volta a creare una struttura fortemente centralistica per un’azione totalmente diversa e alternativa alle scelte del governo, la Uil rispondeva con un’idea di sindacato portatore sì di cambiamento anche politico senza però dimenticarsi della contemporanea valorizzazione delle politiche di settore, non rifiutando il mutamento del sistema di tipo riformista. Una politica, pertanto, che legava la crescita del Paese ad una analisi dei comparti produttivi, per un’incentivazione delle aree considerate pregnanti per lo sviluppo all’interno del mondo occidentale.
Un’impostazione che vedeva il sistema nel suo insieme o il singolo soggetto produttivo non come avversario, ma come quelle parti del sistema considerate obsolete ed incapaci di rispondere allo sviluppo economico in atto.
Sul terreno sindacale la Uil rifiutava l’egualitarismo e svolgeva la sua azione nella ricerca dei modelli più adatti a tutelare la responsabilità e la singola professionalità. Tentava di rappresentare proprio quelle figure che non erano tutelate nell’allora movimento sindacale. La testimonianza di questa strategia sta, proprio nel ‘50, nella vertenza sulla rivalutazione salariale, dove si differenziò dagli altri sindacati, poiché considerò insufficiente l’ammontare degli aumenti salariali concessi alle categorie impiegatizie.
La Uil nasceva da una specifica necessità storica, quella di contrastare l’intenzione comunista di egemonizzare il sindacato, utilizzando la strumentalità politica dell’opposizione nella sua funzione contrattuale, impegnando quindi il movimento sindacale in una funzione non sua.
Infatti, una volta uscito dal governo, il Pci considerava il sindacato lo strumento per spingere e dilatare l’antagonismo politico e di matrice estremista nelle rivendicazioni e nelle lotte, in modo da destabilizzare la governabilità. Dall’altra parte si andava consolidando, invece, quella componente di origine cattolica che all’opposto mirava a contenere il movimento sindacale all’interno di una azione diversamente egemone ma ugualmente riduttiva del pluralismo sociale e politico del sindacato.
La Uil, viceversa, impostava la sua strategia e la sua azione su un sindacato che rifiutava di essere cinghia di trasmissione nei confronti del partito e, anche, di essere protagonista nelle scelte di politica economica sostenendo un modello laico e riformista.
Essenzialmente la Uil ha rappresentato, e ancora rappresenta, la garanzia indispensabile di un pluralismo sindacale, non ridotto alla contrapposizione tra due orientamenti monolitici e selettivi, i quali avrebbero, altresì, fatto svolgere l’azione sindacale in funzione di motivazioni estranee al suo effettivo ruolo confederale. Possiamo dunque affermare che la Uil ha contribuito in modo determinante alla necessità per il mondo di un pluralismo, proprio per avere una rappresentanza complessiva fondata sul rapporto diretto tra strategia politica e consenso sociale.
In questo ruolo la Uil ha saputo così accrescere una propria specificità di organizzazione. Dapprima quale soggetto di mediazione al bipolarismo politico e sindacale, in seguito maturando un ruolo fortemente propositivo, capace di aggregare l’intero movimento sindacale su una progettualità e così facendo ha smosso la tendenza alla staticità e al conservatorismo pur presente nel sindacato. Quindi un’azione che è diventata, non solo, di ricerca e di riconoscimento delle progettualità, ma che ha anche innescato mobilità e dinamismo nel movimento sindacale e nella società.
Si può affermare che la vera svolta avvenne nei primi anni cinquanta dopo l’affermazione nelle commissioni interne e con il successivo inserimento a pieno titolo anche della componente socialista per effetto della scelta di campo di quel partito di svincolarsi dal legame con il socialismo reale dell’URSS, dopo le vicende dell’Ungheria.
Il pieno insediamento nel sistema sindacale avviene negli anni sessanta. La Uil difatti in quegli anni si impegna nella strategia della programmazione, scontando anche sostanziali differenze con le altre organizzazioni, in particolare con al Cgil. La Uil riteneva che il problema centrale dell’economia italiana fosse quello dello sviluppo e, pertanto, in quel frangente aderisce alla politica dei redditi e alla programmazione, voluta dal Ministro La Malfa, sostenendo che tale strategia deve dotarsi di strumentazione e obiettivi che migliorano la produttività dell’intero sistema. Per far così accetta la programmazione delle rivendicazioni salariali in cambio di una partecipazione alle riforme e di un coinvolgimento nelle scelte di politica economica. Si colloca così nella sinistra laica e riformista della quale condivide l’impostazione. Con questa scelta convinta, la Uil ha incessantemente saputo fermentare i parametri e le modalità politiche della propria azione, anche con una velocità travolgente ed addirittura, in molti casi, anticipatrice degli eventi.
Se si percorre la sua storia, le sue azioni ed i suoi congressi si vede chiaramente come ha saputo produrre cultura, idee e valori. Ha introdotto nel Paese, nelle relazioni sindacali e nella cultura sindacale importanti e significative svolte ed evoluzioni. Ha tradotto in progetti politici ed in realtà contrattuale quello che la società ed il sistema economico andavano maturando. Contenuti questi, che in piena dialettica con le altre organizzazioni sindacali, sono serviti a migliorare il movimento sindacale nel suo insieme. Sono stati anni di grande impegno e di grande partecipazione, vissuti fra momenti difficili, come quelli del terrorismo, e felici, come quelli dell’unificazione della federazione Uil, Cgil, Cisl, fino poi alle nuove divisioni in tanti momenti della storia di questo Paese. Ma è stato esaltante viverli.
La bandiera della Uil ha sventolato sempre con coerenza e serietà. I suoi quadri ed i suoi iscritti non devono rinnegare niente del passato e del presente.
Tutti noi abbiamo la convinzione di essere stati nel giusto ed abbiamo saputo rappresentare bisogni, speranze e necessità dei lavoratori. In questi momenti difficili che stiamo vivendo oggi, di fronte alle tante emergenze, da quelle economiche, sociali e politiche, la nostra battaglia continua, a noi sta saperla mantenere viva.
Abbiamo ancora un grande futuro come è stato grande il nostro passato ed il nostro presente. Abbiamo fatto sforzi enormi per far prevalere le idee di partecipazione del sindacato nei diversi settori produttivi ed economici e per cambiare le ritualità sindacali ed affermare la valorizzazione delle professionalità. Dobbiamo proseguire confrontandoci con il nuovo mondo del lavoro, con le nuove figure professionali, per lo più tutte o quasi precarie, e affidare le nostre idee a slogan e proposte più vicine alla vita di oggi. Dobbiamo insistere nel cambiare la società, special modo nel sociale, riuscendo a trovare un nuovo legame con i giovani. Con essi si potrà camminare insieme, soprattutto se sapremo realizzare politiche del lavoro adatte sì ai tempi che viviamo ma superando la precarietà con nuove forme di stabilità e senza dividere le nuove generazioni dalle altre. È importante: ripristinare un concetto di mutualità, di solidarietà e contrastare la logica dello scontro fra interessi diversi, anche generazionali; riformare lo stato sociale legando le giuste aspettative dei giovani con le necessarie tutele degli anziani; battersi per ricreare una cultura laica e riformista, una passione ed uno spirito nuovo di partecipazione e di protagonismo, nel sociale, nell’economia e nella politica, svolgendo una funzione anche pedagogica di rappresentare le diverse esigenze della società. Siamo e resteremo un’organizzazione laica e riformista. Aperta e democratica, tutta rivolta all’emancipazione del mondo del lavoro, guidati degli ideali in cui crediamo.
La Uil si presenta per il futuro ricca di spunti e di proposte, forte di questa tradizione ideale e culturale. Tutto ciò insieme alla sua ramificazione sociale e allo strutturato e unito gruppo dirigente, a tutti i livelli, le permette di competere ed essere sempre più forte. Il continuo consenso che riceve sia in termini di iscritti che di voti è la dimostrazione che il suo lavoro è riconosciuto.
I nuovi temi che ha proposto al dibattito, dal governare la globalizzazione al valorizzare e liberare il lavoro, dall’aumentare le opportunità alle nuove frontiere della rappresentanza sociale, sono all’altezza dei tempi e anche il dibattito che dovrà ancora affrontare servirà a proseguire la sua azione, tesa alla costruzione di una società aperta, libera, solidale, giusta e a dimensione delle donne e degli uomini.
Legando il proprio passato all’elaborazione strategica di oggi e di domani anche il futuro sarà pienamente soddisfacente.
Barbagallo, cominciamo questa intervista con il compleanno della Uil. Il 5 marzo del 1950 nasceva la nostra Organizzazione. In occasione del 69¡ anniversario della fondazione del sindacato c’è stata una celebrazione molto significativa. Ce ne vuoi parlare?
Abbiamo consegnato la tessera onoraria della Uil a Paolo Borrometi, Presidente di Articolo 21, minacciato dalla mafia per la sua attività di giornalista d’inchiesta e che vive sotto scorta dal 2014. Abbiamo promosso un’iniziativa sulla legalità perché combattere le mafie è un’esigenza collettiva, la lotta contro le mafie è determinante per far crescere democraticamente il nostro Paese e nel rispetto della legalità. La Uil continuerà a svolgere il proprio lavoro, contro ogni forma di mafia, sempre dalla parte della legalità, liberi e al servizio dei lavoratori, dei pensionati e dei giovani di questo Paese.
Il debito continua a salire e il Pil a scendere: esattamente l’opposto di ciò che dovrebbe accadere. I provvedimenti messi in atto dal Governo, Quota 100 e Reddito di cittadinanza, riusciranno ad invertire questo trend?
Noi lo speriamo, ma riteniamo che non siano sufficienti per lo sviluppo strutturale del paese. Servono, innanzitutto, investimenti in infrastrutture materiali e immateriali e una riforma fiscale che restituisca potere d’acquisto a lavoratori dipendenti e pensionati. Le nostre proposte complessive per la crescita del paese sono contenute nella Piattaforma unitaria che il Governo conosce bene: noi siamo pronti al confronto.
La situazione peggiora però. Anche i dati diffusi da Ocse e Confindustria non sono confortanti..
I dati Ocse sono sconfortanti. è vero che si prevede un complessivo rallentamento della crescita, sia dell’area euro sia delle principali economie del G20, compresa la Germania, ma per l’Italia la stima è addirittura di segno negativo. Siamo di fronte all’ennesima prova del fallimento delle politiche d’austerità che rischiano solo di far impoverire l’Europa e, in particolare, l’Italia. Non sappiamo più come ripeterlo: servono investimenti in infrastrutture, anche per creare lavoro stabile per i giovani e, inoltre, una riforma fiscale che rilanci il potere d’acquisto di lavoratori e pensionati. Stessa cosa per i numeri di Confindustria. Eravamo già preoccupati quando ci hanno detto che il Paese era in recessione tecnica ora siamo quasi sotto zero. Bisogna rilanciare l’economia e le cose che vorremmo si facessero, a questo scopo, le abbiamo rivendicate con la nostra piattaforma. Abbiamo chiesto, tra l’altro, che si attuasse il cosiddetto “sblocca cantieri”, ma siamo più che altro allo “sblocca subappalti”, e così non va bene. Bisognerebbe fare provvedimenti per rilanciare la spesa pubblica e privata e invece non si fa nulla in questa direzione. Non si vogliono fare le grandi opere infrastrutturali al Nord, non si vogliono fare i collegamenti al Sud: dove stiamo andando? Non si può più perdere tempo. Un referendum per fare il Ponte sullo Stretto? Non vedo la necessità di fare un referendum piuttosto si realizzi l’opera.
Ci sono stati anche incontri con il Governo, l’avvio di alcuni tavoli di discussione sui temi impellenti quali il decreto “sblocca cantieri”. Incontri interlocutori oppure soddisfacenti?
Il primo incontro è stato positivo perché propedeutico al confronto sulla nostra piattaforma: ovviamente, bisognerà attenderne gli esiti per esprimere un giudizio sul merito. Noi ci siamo detti pronti a confrontarci seriamente. Per quanto riguarda lo “sblocca cantieri”, bisogna spendere subito le risorse già stanziate per fermare un’insostenibile emorragia produttiva e occupazionale. Abbiamo chiesto che siano eliminati gli ostacoli burocratici che impediscono la riattivazione o l’avvio dei cantieri. È necessario delegificare confermando però le garanzie per la legalità, la sicurezza e la dignità del lavoro. Ecco perché ci vuole una cabina di regia unica per un confronto sistematico tra tecnici del Governo, delle Istituzioni e delle parti sociali. Noi siamo disponibili a dare una mano.
È stato indetto anche uno sciopero generale del settore edile…
Migliaia di lavoratrici e di lavoratori sono scesi in piazza a Roma per lo sciopero generale del settore delle costruzioni. Durissima la crisi per il settore: dal 2008 i posti di lavoro persi sono stati 800.000. Bisogna rilanciare l´economia e avviare i cantieri. Le risorse ci sono ed è “un crimine economico” non spenderle: serve la volontà politica per farlo. Ad ottobre del 2018, le risorse programmate erano pari a 32 miliardi di euro, derivanti prevalentemente dai Patti per il sud e dai Piani operativi nazionali, a fronte delle quali c’è un impegno di spesa per soli 2,4 miliardi di euro e una spesa effettiva che si ferma a 492 milioni di euro.
Barbagallo, entriamo più nel dettaglio degli investimenti pubblici che sono la prima leva per lo sviluppo e la crescita economica, occupazione e sociale. La spesa pubblica per investimenti è uno degli indicatori più utilizzati per cogliere il contributo dell’intervento pubblico alla crescita economica del Paese. La Uil ha realizzato uno studio in merito. Vogliamo ricordare qualche dato?
È inaccettabile che nel nostro Paese gli investimenti pubblici siano in calo: dal 2013 al 2018 si è passati da investimenti pubblici pari a 41,1 miliardi di euro (il 2,5% del PIL) a 34,3 miliardi di euro nel 2018 (il 2% del PIL). La differenza in sei anni, dal 2013 al 2018, in valori assoluti è 6,9 miliardi di euro in meno (-16,7%). Dall’analisi emerge che gli investimenti subiscono un calo costante nel corso degli anni, ad esclusione del 2015 quando gli investimenti risalgono di 4 miliardi di euro dovuti essenzialmente alla chiusura della programmazione di fondi comunitari del 2007-2013. In quell’anno, infatti, la sola spesa delle risorse comunitarie ammontò a 12 miliardi di euro.
Quali sono le ragioni di tutto ciò? E le soluzioni possibili?
Le cause della diminuzione degli investimenti pubblici sono molteplici e vanno ricercate essenzialmente, da una parte, nelle politiche di coordinamento della finanza pubblica e, dall’altra, nelle scelte per il rispetto dei vincoli di Bilancio: è più facile tagliare la spesa per gli investimenti che la spesa corrente riferita al funzionamento dei servizi anche se improduttiva. Per questo chiediamo al Governo un cambiamento di rotta. Bisogna mettere in campo sia investimenti pubblici, che possano stimolare anche gli investimenti privati, sia quelli in opere pubbliche già cantierabili e, al contempo, rivedere i vincoli del pareggio di Bilancio degli Enti Territoriali.
Anche la questione del salario minino ha il suo peso…
Fare una legge su questo tema non vuol dire avere la certezza che poi venga applicata. Sono necessari più controlli per estirpare le radici del lavoro nero, da un lato, e serve più contrattazione, dall’altro. Da anni, ormai, la Uil chiede un taglio del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori dipendenti e dei pensionati e sono anni che aspettiamo che alle promesse seguano i fatti. Speriamo che già dal prossimo incontro con il vice premier Di Maio, su questo punto, possa finalmente emergere qualche elemento di concretezza. Un provvedimento del genere sarebbe l’unico modo per far aumentare i redditi di lavoratori e pensionati, a differenza di ciò che accadrebbe, invece, con il salario minimo definito forfettariamente per legge. Peraltro, nel nostro Paese, il salario minimo già esiste: è quello stabilito, per l’appunto, dai minimi contrattuali delle singole categorie e già oggi, in forza dell’articolo 36 della Costituzione, può essere applicato a ogni lavoratore. Anche su questo punto, attendiamo di capire le reali intenzioni del Governo.
Rischi ed opportunità. L’accordo siglato con la Cina in che direzione va?
È vero, ci sono rischi e opportunità per la Via della Seta. Ecco perché sarebbe stato un bene per il Governo consultare parti sociali e imprese. In passato, i cinesi copiavano, ora sono al primo posto per brevetti e sono molto avanti per quelli relativi al settore comunicazione e per l’intelligenza artificiale. Al contrario, sono piuttosto arretrati sul fronte della green economy e dell’energia verde. Per non dare vantaggi alla Cina, dunque bisogna sviluppare quei settori in cui siamo all’avanguardia e bisogna eliminare gli ostacoli burocratici che frenano la crescita: alcune aziende strategiche, come ad esempio l’Eni, riescono a lavorare ovunque tranne che in Italia.
“People. Prima le persone”. È lo slogan della grande manifestazione che ha avuto luogo a Milano. La società civile e del volontariato in corteo insieme a Cgil, Cisl e Uil. Un’importante iniziativa…
A Milano abbiamo partecipato ad una grande manifestazione per affermare i diritti umani, sociali, economici e del lavoro. Il Sindacato sottoscrive contratti uguali per tutti i lavoratori, a qualsiasi etnia essi appartengano e qualunque sia il colore della loro pelle. C’è un problema di sicurezza. Io provengo da una terra, la Sicilia, che ha esportato nel mondo 5 milioni di persone: braccia, cervelli, ma anche mafia. Ebbene, la malavita, la delinquenza e il terrorismo vanno combattuti, ovunque e sempre. La sicurezza non è di destra né di sinistra, ma significa dare certezze ai cittadini, ai lavoratori, agli anziani, ai giovani. Detto questo, il Sindacato deve combattere la xenofobia e impegnarsi sia perché vengano affermate la solidarietà, l’integrazione e l’accoglienza sia perché nel mondo si diffonda un’economia di pace e si attui la cooperazione.
Barbagallo, ci sono eroi del quotidiano che operano nel più assoluto silenzio, i vigili del fuoco, e una politica di prevenzione che mostra debolezze e lacune nel nostro Paese. La Uil ha organizzato un’iniziativa su questo tema. Puoi ribadire la tua posizione?
Tutti noi siamo abituati ad applaudire i vigili del fuoco per i loro gesti eroici: quando poi si spengono i riflettori, li lasciamo da soli con i loro problemi. Il loro ruolo non può essere esaltato solo quando ci sono tragedie che li vedono protagonisti. Riconoscimenti economici, sicurezza, contratti: bisogna impegnarsi per rendere concreti questi loro diritti. Il corpo dei vigili del fuoco va potenziato, i precari vanno assunti, il loro lavoro deve essere economicamente valorizzato affinché possano compiere il loro dovere in tranquillità. Il Paese si sta sbriciolando, il 68% è a zona sismica e la restante parte è a rischio idrogeologico: bisogna mettere in sicurezza il nostro territorio. E lo dobbiamo fare anche perché queste opere infrastrutturali consentirebbero di rilanciare l’occupazione e l’economia.